Ancona, 16 settembre 2016 - Andrea Barchiesi, 45 anni, anconetano, è fondatore di Reputation Manager. Ha studiato e applicato al web un metodo ingegneristico per ‘ripulire’ le identità digitali, ridando dignità ad aziende, istituzioni e personaggi pubblici. Il caso della giovane napoletana che si è uccisa per vergogna dopo la diffusione del video hard che la vedeva protagonista, lo ha scosso «anche sé, a mio avviso la ragazza si sarebbe potuta salvare». E come scusi? «Se si fosse rivolta a un esperto digitale quando il video era ormai diffuso sul web, le cose sarebbero andate diversamente, ne sono convinto». Perché, cosa avreste potuto fare? «È giusto e logico rivolgersi a un avvocato per tutelarsi. Ma i tempi della giustizia non seguono il passo di Internet. Quello è un terremoto, travolge tutto e tutti a una velocità impressionante». Quindi anche voi... «Quando noi interveniamo il video è già in rete ed è stato diffuso e cliccato. Ma i nostri tempi di intervento sono molto rapidi. In poche ore possiamo individuare la sorgente, la fonte della diffusione». E a quel punto? «Eliminare tutto è impossibile, ma più la notizia o il filmato si diffondono, più è peggio. Quindi bisogna intervenire in fretta per togliere di mezzo tutto ciò che può danneggiare la tua identità digitale. Va eliminato ciò che può far danni, anche irreparabili». Mi spiega come fate? «Utilizziamo delle tecnologie che ci consentono di sapere tutto ciò che c’è in rete. Vengono analizzati due rami critici: tutto ciò che è visibile sui social network (Facebook, Twitter...) e l’identità digitale. Il problema è impedire la slavina, ovvero una maggiore diffusione del filmato compromettente o di certe frasi che possono danneggiare la reputazione» Ma voi potete bloccarlo? «Se è visibile a tutti sì». Su Messenger e Whattsapp si può intervenire? «Lì no, ma una volta immesso il video hard sul web avremmo potuto individuare subito il soggetto che l’aveva diffuso. Quindi eliminare il portatore. Così facendo identifichiamo il provider che ovviamente non può sapere cosa sta succedendo, ma attraverso lui possiamo risalire a chi sta operando». Vi siete mai trovati ad affrontare casi come quello di Tiziana? «Eccome. Abbiamo trattato il caso spiacevole di un laureando che senza pensarci aveva diffuso un video pedopornografico. Seguiamo casi anche di 10, 12 anni fa che non sono mai venuti a galla ma che col passare del tempo possono rovinare una persona. Ci siamo trovati di fronte a una ragazza che aveva anche tentato il suicidio per una cosa come quella di Tiziana, ma per fortuna il finale è stato diverso. D’altronde oggi basta andare su internet ed è anche di facilissimo accesso. Digitando su Google nome e cognome e appare tutto». E quindi cosa si dovrebbe fare? «Bisogna costruire una nuova identità digitale. Sbaglia chi crede di poter nascondersi dicendo di non andare su Facebook ad esempio. Se io posto qualcosa a nome suo, la sua identità digitale viene comunque compromessa. La tentazione dell’oblio è ancestrale, ma è impossibile. Dal web non si cancella nulla».