Qui si sconfina nel regno degli ippogrifi

Roberto

Pazzi

Negli Usa la pretesa dal partito repubblicano di veder pubblicato il dossier del Pentagono sugli Ufo ha il sapore di uno sconfinamento nei regni che non competono alla politica, quelli della Letteratura. È l’Ariosto che ci ha abituati a emozionarci davanti alle sue creature immaginarie, prima fra tutte il magico ippogrifo “ch’una giumenta generò d’un grifo”, cavalcato dal mago Atlante, soggiogato da Bradamante, da Ruggero e quindi da Astolfo per volarsene in Etiopia.

Ma un altro alato genio della penna, Shakespeare, si spinge oltre l’Ariosto. Giunge a rivendicare i diritti della più spaventosa fantasia quando il suo Amleto rimprovera l’incredulità dell’amico, di fronte al fosco fantasma del padre. E lo fa con una frase meravigliosa, che mi piacerebbe recitare ai senatori repubblicani in queste ore, una sorta di manifesto per noi europei, che della sensibilità americana per la poesia, già con Oscar Wilde, avevamo molto dubitato: “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra filosofia”. Conviviamo coi sogni che la Letteratura sa mettere in scena, quasi come fosse una terapia che ci curi dall’angustia del quotidiano. Hanno la grazia di dilatarci la vita, di farci sempre dubitare del fondo secco e duro della realtà. Cari senatori repubblicani, non mi resta che augurarvi di trovare nel dossier del Pentagono la rivelazione più inquietante possibile di nuovi ippogrifi.