Omicidio Reggio Emilia, quell’incredibile somiglianza. "Per lui era un’ossessione"

Cecilia ricorda molto la madre del killer-stalker, a sua volta ammazzata dall’ex. Gli psichiatri: "Può aver pensato ”se è morta lei, puoi morire anche tu“"

Juana Cecilia Loyoza e Alessia Della Pia

Juana Cecilia Loyoza e Alessia Della Pia

Quel lungo filo rosso, insanguinato, che collega le tre generazioni coinvolte nella tragedia di Reggio Emilia, svela un altro macabro risvolto. Juana Cecilia Loayza, 34 anni, la madre sgozzata dall’ex Mirko Genco, 24 anni, ha una somiglianza importante proprio con la mamma del killer, Alessia Della Pia, ammazzata a sua volta dall’ex quando aveva 39 anni. Un sinistro dettaglio che balza agli occhi confrontando le due foto delle vittime, lineamenti e colori sono sulla stessa tracciante, diretta a spezzare il cuore di troppe persone.

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"L’aspetto fisico? La somiglianza tra le due donne è innegabile e può avere giocato un ruolo nel delitto, ma è molto complesso stabilire una connessione solamente con questioni fisionomiche – spiega lo psichiatra Claudio Mencacci –. Questo uomo ha una modalità generale di Juana ha voluto distruggere qualsiasi cosa la riguardasse, in questo specifico caso anche la bellezza fisica, come era pure sua madre". E l’esperto presidente della Società Italiana di neuropsicofarmacologia, past president della Società italiana di psichiatria, spiega: "La somiglianza fisica ha un senso lato. Il comportamento violento si trasmette, i figli maschi corrono il rischio di acquisire quel comportamento e vedendo le violenze, possono giustificarle. L’aggressione è diventata un modello. Questi bambini, poi cresciuti, sono stati oggetto di una tensione pazzesca e vanno rieducati. I litigi e le violenze in casa provocano una sindrome post traumatica che è frequentissima, e le vittime indirette (superstiti) vanno rieducate. Le immagini di soprusi continuano ad agire nel loro cervello, spesso ciò che ne consegue sono sessismo e violenza". Anche il professore Renato Ariatti, altro maestro della psichiatria, che annovera decine e decine di casi di cronaca nazionale – a partire dal giallo di Cogne –seguiti in prima persona nella propria carriera, fatica a corroborare scientificamente la sovrapponibilità dei due volti morti ammazzati. "L’aspetto fisico è un dato puramente aggiuntivo, non modifica la sostanza dei fatti perché non è la prima volta che questo soggetto si confronta con una situazione del genere. Se avesse centrato la somiglianza somatica, allora non avrebbe fatto lo stesso con la compagna precedente. E invece...". Ariatti, invece, focalizza l’attenzione sul cortocircuito del sistema di sorveglianza: "Il nostro sistema giudiziario non è in grado di fermare una persona che viene denunciata due volte in poco tempo, anzi resta nelle condizioni di fare ciò che vuole. Il divieto di avvicinamento, l’avvio della terapia, la protezione della vittima: è dimostrato ampiamente che questo modello non regge. In una situazione di questo tipo, quanto più lo Stato mette barriere (teoriche, ndr) e più inserisce step vincolanti, tanto più i violenti alzano l’asticella. Invece di avere un’azione deterrente, questo percorso tutelante amplifica la reazione degli aggressori. È un regime troppo permissivo".

La psichiatra Liliana Lorettu dell’università di Sassari conclude: "La somiglianza può portare a dinamiche particolari, dopotutto è come dire ’se mia madre è morta, allora può morire anche questa donna’. Si tratta della ripetizione di un fatto avvenuto, ma tracciare basi scientifiche su queste congetture non è possibile, ovviamente. Quel che è certo è il sistema di difesa del killer: l’identificazione con l’aggressore in casa e non con la vittima, che era la madre".