Quelli che... ‘‘chiedo per un amico’’

Giorgio

Comaschi

E facciamola questa domanda, dai. Troviamo una buona volta il coraggio di farla noi e non di "chiedere per un amico". Ma perché ormai ogni post che si legge su Facebook o sia Instagram deve per forza finire con "chiedo per un amico"? È così indispensabile? O è un bisogno psicofisico impellente? Ormai si vive di frasi fatte, di robe copiate perché le abbiamo sentire dire da uno e subito tac, le dobbiamo dire anche noi, pecorando pecorando sulla collina dei pecoroni. Sulla scia di "resilienza", di "tanta roba" eccetera. Adesso si chiede per un amico. Non si chiede per sé, anche se è chiaro come il sole che è così. "Come si entra gratis al concerto? Chiedo per un amico". "Sulle frittelle ci va il basilico? Chiedo per un amico". "Siamo sicuri che con Allegri la Juve rivincerà lo scudetto? Chiedo per un amico".

Il "chiedo per un amico" è una frase gonfia di presunzione fino a scoppiare, che usano quelli che, usando una domanda stupida o imbarazzante, sottintendono il fatto che loro conoscono benissimo la risposta, ma non la ritengono all’altezza dei comuni mortali. "Chiedo per un amico" arriva di solito da un piedistallo da cui chi pone la domanda guarda il resto del mondo. "Io la so. E voi no!", sembra di sentire il ritornello con la cantilena che facevamo alle elementari. A parte il vecchio sogno, cullato invano da tempo, che prima o poi venga data alla gente la clamorosa notizia dell’esistenza degli altri, si tratta ora di fare fronte a queste domande cercando nel frattempo di capire da dove ha origine questa moda. Non è italiana. Viene dall’Urban Dictionary, un dizionario online dedicato ai neologismi e allo slang in lingua inglese, lanciato nel 1999 da un certo Aaron Peckham. L’Urban Dictionary dice: "Asking for a friend" (ovvero "chiedo per un amico"). Qualcuno usa questa frase mentre pone una domanda a qualcuno. Dicono di chiedere per un amico, quando in realtà stanno chiedendo per se stessi. Siamo riusciti a copiare anche qua. Bene. A questo punto non ce la possiamo fare. Ma siamo "tanta roba" però?