Quella bambina nata sotto le bombe Simbolo di libertà contro l’invasore

La foto di Mia, venuta alla luce nella metropolitana di Kiev trasformata in rifugio, fa il giro del mondo. Il presidente Zelensky: "Se nascono nuove vite anche nei rifugi, allora il nemico non ha scampo"

di Viviana

Ponchia

Questo posto scuro pieno di spifferi e afrori, il regno della fretta e del topo, non è una nursery. Non è qui che dovrebbero nascere i bambini. Non c’è un palloncino rosa che annuncia "it’s a girl". Niente ostetrica e parenti commossi, odore di disinfettante, vestitini nuovi. Ma la vita è prepotente, fa di testa sua. Quando arriva il momento, sgomita sotto i carrarmati e le case che bruciano, pretende nutrimento e attenzione. Poi sia quello che deve essere. Una volta nato non ti dovrai scoraggiare, scriveva Oriana Fallaci. Nemmeno se soffri, nemmeno se muori. Perché sei uscito dal niente e niente è peggiore del niente.

Fa il giro del mondo la foto della bambina partorita a Kiev in un rifugio nella metropolitana, la luce in fondo al tunnel, una lama di speranza. È un attimo trasformarla in simbolo e provocazione: scaricate la morte? E noi rilanciamo con Mia, ovvero la Libertà. Il ministero della Difesa ucraina diffonde le immagini della neonata, più potenti di qualsiasi contraerea. "Sta bene. È la prima, della quale abbiamo notizia, venuta al mondo in uno dei centri di accoglienza". Il presidente Volodymir Zelensky, in serata, è più esplicito: "Se i bambini nascono nei rifugi, anche quando continuano i bombardamenti, allora il nemico non ha scampo in questa indubbia guerra popolare".

Libertà, senza girarci intorno. La figlia di tutti. Andate a dirlo a Sting, toglietegli il dubbio: "The russians love their children too". Anche loro, che oggi sono il nemico, devono amare per forza questa bambina. Un po’ di sangue russo magari Mia ce l’ha davvero, di sicuro porta l’eredità di una storia condivisa e un vagito contro le bombe. Coraggiosa come lei nessuno. Senza nulla togliere alla mamma, colta di sorpresa dalle sirene e dalle doglie. Arrivano attraverso i social gli auguri alla piccola e ai genitori: "Mentre le granate rimbombano nel cielo stanno nascendo piccoli ucraini".

Scegliere dove nascere è un privilegio che diamo per scontato. E ce lo ricorda Mia, ce lo ricorda Sama, che vuol dire cielo, nata nel 2016 ad Aleppo sotto i missili e i barili bomba. Sua madre, la regista Waad al-Kateab, ha scritto per lei sotto forma di documentario una lettera d’amore pluripremiata e candidata all’Oscar. Per spiegarle la decisione di restare in Siria nonostante tutto, per i troppi bambini uccisi dal regime di Assad e i genitori che raccoglievano i loro corpi.

In Ucraina dall’inizio dell’assalto russo i piccoli morti sono 3, 33 i feriti. L’Unicef non si stanca di ricordare i rischi enormi delle donne che partoriscono senza assistenza medica nei paesi in guerra. Afghanistan, Repubblica Centrafricana, ex Jugoslavia. La storia sposta la geografia, ma non l’orrore di chi entra nel mondo accolto dai cecchini. Zlata Filipovic aveva 11 anni quando esplose l’inferno di Sarajevo e in un diario ha consegnato a Mimmy, l’amica immaginaria, la voce dei 3mila bambini uccisi dalle bombe. La vita che non si rassegna diventa testimonianza. Nascevano bambini anche ad Auschwitz, una levatrice ne ha contati migliaia, molti soppressi al momento del parto dal personale del campo, moltissimi morti di fame e di freddo. Ma durante la Seconda Guerra mondiale erano loro, i più piccoli, a trasformare le notti in rifugio in una festa. Abbiamo tutti un nonno che ricorda i mercatini dell’usato sottoterra, lo scambio spensierato di giornalini, figurine e magari varicella (prerogativa dei vivi) mentre sopra tutto crollava.