Giovedì 25 Aprile 2024

Quel grido nella notte: "Ha toccato" E Tito Stagno portò l’Italia sulla Luna

Morto a 92 anni il giornalista Rai che raccontò in diretta l’allunaggio nel 1969. Tenne tutta la nazione col fiato sospeso

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di Leo Turrini

Aveva accompagnato gli italiani sulla Luna e lo sapeva. Ma Tito Stagno, spentosi a novantadue anni, è stato, per sua e nostra fortuna, molto di più. Grande giornalista della Rai in bianco e nero, abile conduttore della "Domenica Sportiva", a lungo corrispondente dal Quirinale ("Una volta il presidente Saragat disse al segretario: chiamatemi Tito. Io mi precipitai, ma il capo dello stato voleva chiamare al telefono il Tito della Jugoslavia…"), Stagno veniva dalla Sardegna. Ma era cosmopolita nell’anima: tanto che fu tra i primissimi redattori dell’unico Telegiornale dell’epoca. Erano i grigi anni Cinquanta. "Però io mi divertivo ad immaginare il futuro – mi raccontò quando diventammo amici –. Mi affascinava la corsa allo spazio, il lancio dello Sputnik, il mitico volo di Juri Gagarin. Ne parlavo in tivù e quasi mi sembrava di partecipare al viaggio…".

Che viaggio, già. Con l’ultima destinazione indicata dal presidente Kennedy: porteremo un uomo sulla Luna e lo faremo tornare a casa sano e salvo. La Luna! La compagna silenziosa ed indimenticabile nella vita di Tito Stagno. Che appunto, dicevo all’inizio, è stato tanto altro e tanto altro ha fatto: ma vuoi mettere con quella emozione planetaria, il mondo intero con lo sguardo puntato all’insù e poi giù sul video e dentro quella scatola, il televisore, a narrare agli italiani l’impresa impossibile chi c’era, se non lui?

Quella notte memorabile, tra il 20 e il 21 luglio del 1969, Tito fu perfetto nell’imperfezione.

Ore e ore di diretta, dal lancio da Capo Kennedy al misterioso tragitto verso la meta, verso Selene. E Stagno, un po’ Leopardi e un po’ Nando Martellini, dettava i ritmi, traduceva le chiacchiere degli astronauti, si sfiniva nell’ansia comunicativa esasperata dal caldo feroce dentro lo studio Rai. "Ad un certo punto – mi svelò – mi tolsi i pantaloni, tanto avevo la scrivania davanti. Mica potevo morire per via del sudore…".

Non morì. Sapeva che un Paese intero, l’Italia che consumava gli scampoli del Boom, pendeva dalle sue labbra. Del resto, Tito era diventato buon amico di Neil Armstrong, di Buzz Aldrin e di Michael Collins, i tre astronauti della Apollo 11.

"Li avevo conosciuti alla Nasa – mi spiegò decenni dopo –. Erano uomini normali per una impresa eccezionale. Quando vennero in visita al Quirinale dopo il trionfo, vollero che li accompagnassi. Ma Aldrin, per dire, mi chiese di fargli conoscere Gina Lollobrigida, la famosa attrice…".

E chissà. Forse fu anche la passione da tifoso a spingere Tito al celebre… anticipo. Il Lem stava avvicinandosi alla superficie lunare, tutti trattenevano il fiato e Stagno, auricolare nell’orecchio per non perdere una sillaba dei dialoghi interspaziali, proruppe nel grido: "Ha toccato!". Solo che da Houston il prode Ruggero Orlando, corrispondente Rai, lo smentì. "Non ancora!". Ne nacque un surreale battibecco. Uno straordinario siparietto, molto teatrale. La conseguenza fu incredibilmente romanzesca: i telespettatori italiani si persero in diretta l’annuncio storico di Armstrong, "The Eagle has landed", l’Aquila, dal nome del modulo lunare, è atterrata.

Chi aveva ragione? "Io, ma anche Ruggero – mi spiegò Tito –. Avevo sentito Aldrin annunciare che si erano accesi i rudimentali sensori di contatto, lo sbarco quindi era tecnicamente riuscito. Ma anche Orlando era nel giusto, le zampe del Lem si posarono sulla Luna pochi istanti dopo". Importa? Importava allora, in una frenesia collettiva che nessuno risparmiava. Ma tutto andò bene e il giorno dopo l’uomo italiano della Luna sì addormentò sfinito in spiaggia a Ostia e quando si svegliò sentì un bagnante sussurrare "ahò, anvedi questo, è appena tornato da lassù…". Ciao, maestro.