Vincenzo Barone: "Quei giorni con l’uomo sulla gru. Il segreto del negoziatore? Ascoltare"

Il luogotenente dell’Arma e una vita passata a risolvere le situazioni più complicate: ora vado in pensione "La missione più difficile convincere un 38enne a non gettarsi nel vuoto, era la seconda volta che saliva lassù"

La protesta di Antonio, all’epoca 50 anni, nel 2014 a Bologna

La protesta di Antonio, all’epoca 50 anni, nel 2014 a Bologna

"Ciao, io sono Vincenzo. Cosa succede? Mi vuoi spiegare? C’è molta gente preoccupata qui fuori: posso aiutarti in qualche modo?". Cominciano così le missioni salva-vita dell’esperto negoziatore di primo livello dei carabinieri, Vincenzo Barone, 58 anni. Tra 45 giorni terminerà la sua carriera nell’Arma dopo aver fatto desistere decine e decine di persone dal togliersi la vita o dall’aggredire altre vittime. Il luogotenente Barone entra in scena quando la distanza tra la vita e la morte è impercettibile, e lui non ha margine di errore.

Qual è il momento più critico in una negoziazione?

"Il primo contatto e la resa – risponde Barone, di origini napoletane e in servizio nel Nucleo investigativo del reparto operativo di Bologna –. Un approccio sbagliato o un movimento incontrollato in uno scambio, possono compromettere la relazione costruita. Ma ogni fase è importante, il rischio di insospettire e far chiudere il soggetto è sempre alto".

Qual è stata la sua missione più amara?

"Era il 2016 e stavo negoziando da 3 ore con un uomo nel Duomo di Cervia. Non sono riuscito a convincerlo e alla fine si è tolto la vita sparandosi: mi trovavo con lui in chiesa, ci eravamo isolati dagli altri operatori".

Cosa si prova a vedere un suicidio?

"A un certo punto lui (Gaetano Delle Foglie, ndr) mi ha invitato a uscire in maniera diversa da come lo aveva fatto prima e lì ho capito. Se n’è andato in fondo all’altare, mentre io continuavo a chiamarlo per nome e, come aveva fatto in precedenza, si è puntato la pistola al petto. Ancora oggi faccio fatica a raccontare nei dettagli la storia. Anche se lui era un omicida, perché aveva ucciso una donna (Sabrina Blotti, ndr) di cui si era invaghito, io dovevo salvarlo. Se incontro qualcuno che gli assomiglia, quella terribile scena mi ritorna in mente. La famiglia, altri negoziatori e istruttori mi hanno aiutato a superare il trauma".

E l’operazione più complicata quanto è durata?

"Tre giorni: era il 2014 e un 38enne salì su una gru in via Oberdan a Bologna minacciando il suicidio. L’uomo era già salito su una gru e quella volta venne fatto scendere con promesse di aggiustare tutto, ma una volta sceso aveva subito un Tso. Così si è sentito tradito. La seconda volta è stata dura conquistare la sua fiducia. In questi casi c’è il rischio di incidente: se il malcapitato si agita o parla e si distrae, può anche scivolare con conseguenze tragiche".

Cosa non bisogna mai fare o dire?

"Se vieni aggredito verbalmente, occorre comprendere che non è un fatto personale, il soggetto va fatto sfogare. Mai avvicinarsi fisicamente ed evitare i ‘no’. Mai fare domande chiuse, che prevedono risposte ‘sì’ e ‘no’. E massima attenzione alla simmetria tra linguaggio verbale e non verbale: se racconti con la voce qualcosa e il corpo non è sintonizzato, perdi credibilità. E mai avere fretta".

Come si convincono le persone?

"Nel Dna dell’Arma c’è la capacità di parlare con la gente ed entrarvi in empatia. In ogni situazione è necessario analizzare lo stato delle cose e individuare il linguaggio che maggiormente si adatta all’uomoevento continuando a modularlo sino a entrare in sintonia. La storia del soggetto va scandagliata, analizzando i suoi problemi individuali e il perché della crisi per proporre interpretazioni diverse degli eventi scatenanti in maniera persuasiva".

Come vi allenate ad ascoltare e a essere empatici?

"Il miglior training possibile è relazionarsi con il collega rompiscatole o confrontarsi con mogli e figli adolescenti nei momenti di crisi… A parte le battute, l’Arma prevede esercitazioni e aggiornamenti periodici con giochi di ruolo che riproducono interventi di negoziazione operativa realmente effettuati dagli oltre 100 negoziatori dei carabinieri in Italia".

La regola dell’80 (ascoltare) e 20 (parlare) per cento, funziona?

"Il silenzio assume una valenza superiore al parlare. Su tutto, però, prevalgono l’ascolto attivo, il linguaggio non verbale e la meta-comunicazione. Postura, mimica, prossemica, set e setting da analizzare e scegliere con cura. Ma il negoziatore è solo il front man del gruppo che deve salvare vite".

Chi sono gli altri membri della 'band'?

"Ci sono gli operatori di pronto intervento del Nucleo radiomobile e della Stazione, i primi che entrano in scena e stabiliscono un dialogo. Se l’approccio è positivo, il negoziatore fa da supporto e guida i colleghi. Il più alto in grado è l’incident commander, colui che prende le decisioni, perché chi negozia non può definire gli obiettivi. Per le situazioni più complicate ci sono le Api (Aliquote di primo intervento, ndr), il team tattico dei Gis di Livorno e le Sos (Gruppi di intervento speciale e Squadre operative di supporto, ndr), che entrano in scena con tecniche dei reparti speciali".

Quali sono le qualità più importanti che deve avere un negoziatore?

"Resilienza, capacità empatica, attitudine al problem solving, disciplina. Nel corso di formazione solo il 55% dei partecipanti, che ha già passato la selezione psicoattitudinale, è idoneo a diventare negoziatore di primo livello. Di questi il 20 per cento – in aumento – sono donne".

Quando non si porta a termine una missione, quali sono le cause?

"Una volta a Modena ho sgarrato e ho violato lo spazio di sicurezza. Dentro la casa c’era un uomo armato col colpo in canna che minacciava il suicidio. Nella cassaforte aveva un arsenale, in una cameretta la figlia si era chiusa dentro e la compagna era scappata a chiedere aiuto. Sono entrato nell’abitazione: ero convinto che lui non avrebbe fatto male agli altri. Alla fine ho avuto ragione, ma non avrei dovuto farlo. Lui poteva vedermi come un ostacolo al compimento del suo disegno e indirizzare verso di me la rabbia. Altre volte c’è lo zampino della droga e della violenza".

Qual è stata la sua più grande soddisfazione negoziale?

"Quando ho salvato uno psicologo. Affetto da burnout, si era dimesso dall’azienda in cui lavorava occupandosi di adolescenti. Da quel momento la sua vita è andata a rotoli: la compagna l’ha lasciato ed è entrato in cura psichiatrica. Un giorno il coinquilino lo trova fuori dalla finestra oltre la ringhiera, con la corda al collo. Prima di arrivare nella casa ho cercato informazioni su di lui e quando ho scoperto che era uno psicologo mi sono detto ’e adesso, come lo convinco?’. Ho capito che tutti lo colpevolizzavano per quelle dimissioni e ho cercato di capovolgere il paradigma: ’Sei stato onesto, potevi metterti in malattia, ma così non hai creato problemi a quei giovani, sei da premiare’. Quando ha messo una gamba al di qua della ringhiera, ho capito che c’ero riuscito".

C’è un rito specifico per preparare una negoziazione?

"L’abbigliamento può essere importante, perché se sono in giacca e cravatta e vado da un operaio devo cambiarmi e assomigliare di più a lui. Non mi qualifico mai come carabiniere e mi presento col nome, mai col cognome. ’Ciao, io sono Vincenzo. Cosa succede? Mi vuoi spiegare? C’è molta gente preoccupata qui fuori: posso aiutarti in qualche modo?’".

Da dove nasce la sua passione?

"Io sono un carabiniere, non faccio il carabiniere. Ho l’attitudine a parlare con la gente e il corso da negoziatore è stata un’illuminazione. Tra un mese e mezzo andrò in pensione, ma non smetterò di andare nelle scuole per parlare di bullismo e cyberbullismo, cercando di convincere gli studenti che la diversità arricchisce. Ecco, proprio sulla diversità, la mia erede se supererà tutti gli step sarà una donna. E di questo sono molto contento".