Martedì 23 Aprile 2024

Quei sandali 'ortopedici' diventati glamour. Tutti pazzi per le Birkenstock, anche Vuitton

Il marchio del lusso mette sul piatto 4 miliardi per l’acquisto dell’azienda tedesca. La prima a lanciare la moda fu Kate Moss nel 1990

Gwyneth Kate Paltrow, Kate Moss sedicenne e Leonardo DiCaprio

Gwyneth Kate Paltrow, Kate Moss sedicenne e Leonardo DiCaprio

Come il principe che si accorgesse di Anastasia e Genoveffa, le sorellastre di Cenerentola, Vuitton ha perso la testa per le brutte. Le vuole fortissimamente così come sono: piatte, ortopediche. Una bestemmia estetica per cui solo Janis Joplin poteva essere perdonata. Il gigante del lusso Lvmh, innamorato, butta sul piatto un’offerta che supera i 4 miliardi di dollari e si dispone a litigare con altri pretendenti. Per le Birkenstock. Le tedesche monacali e sadiche che devono dare l’impressione di cadere in modo da risvegliare i polpacci. Amore a seconda vista. E ci fu però un tempo in cui bisognava giustificarsi di averle ai piedi (Briatore continua a pretendere le scuse quando le si indossa). Dire Birkenstock significava pensare al nordico in vacanza con il calzino bianco. Alla fricchettona nemica della depilazione e della callista. Bollarle come "ugly shoes" era il minimo. Le più brutte scarpe del mondo. Ciabatte supponenti per sfigati con lo zaino in spalla direzione Katmandu. Poi nel 1990 ecco il segnale abbagliante della riscossa: sulle pagine di The Face una giovane Kate Moss tiene in mano mezza sigaretta, mostra un pezzo di bikini sotto il maglione lungo e sfoggia senza pudore i sandali famigerati. È fatta. Dodici anni dopo a Parigi le modelle di Céline provocano con Birkenstock foderate di pelliccia.

E nel 2013 Vogue concede la consacrazione definitiva: "Non c’è niente di meglio che un vestito carino accoppiato a un paio di scarpe brutte". Orgogliosamente brutte. Comode come nessuna. Principesse della pandemia, quando hanno sfondato ogni record di vendita. Non c’è da stupirsi se i grandi burattinai della moda se le contendono. Pochi anni fa il Ceo Oliver Reichert si prese la soddisfazione di sbattere la porta in faccia a Supreme, il famoso brand di streetwear. Confidava nel potenziale nascosto dei suoi sandali ortopedici (perché di questo si tratta) e predisse di vendere 20 milioni di scarpe all’anno entro il 2020. Ci riuscì molto in anticipo e adesso è di nuovo alle prese con i corteggiatori, fra tutti la britannica Cvc capital partners e il colosso che fa capo al multimiliardario Bernard Arnault. L’esito delle trattative sarà noto nei prossimi mesi ma le quotazioni stellari confermano che le calzature impossibili, in ulteriore impennata con il lockdodown, "sono diventate un modo di vivere il tempo dell’incertezza".

La storia dei calzolai Birkenstock comincia nel 1774 a Langhen-Bergheim con Johan Adam. Konrad è colpevole del plantare sagomato (i tedeschi amano camminare nei boschi dopo essere stati alla terme e li accontenta con il "Fussbett", un letto per il piede), il nipote Carl si specializza nel sughero per cui il marchio oggi è famoso. Però è una donna a cambiare la storia. La tedesca adottata dalla California Margot Fraser, in viaggio in Germania nel 1966, soffre di mal di piedi e con quei sandali guarisce. Sarà lei la prima spacciatrice di Birkenstock a San Francisco, imbucandoli sugli scaffali di cose naturali fra il muesli e il Tea Tree Oil. Gli hippy e le attiviste dei movimenti Lgbtq non aspettano altro. Al rogo finiscono solo i reggiseni.