Martedì 23 Aprile 2024

"Quei cocci portano jella". I ladri pentiti di Pompei

Coppia canadese restituisce i reperti archeologici rubati 15 anni fa "Cancro e problemi finanziari, vogliamo liberarci dalla maledizione"

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Mettiamo subito una cosa in chiaro: trafugare qualche reperto dalla città morta di Pompei porta sfiga. È cosa nota. Non ci credete? Beh, questa storia arriva da Oltreoceano, con due turisti canadesi, Alistair e Kimberly, marito e moglie, che hanno inviato un plico sigillato a un’agenzia di viaggi di Pompei. Dentro c’erano pezzi di mosaico e pietre che avevano trafugato nel 2005, durante un viaggio in Italia e una visita agli Scavi. Motivo della restituzione? I due si sono resi conto che rubare da quella terra sepolta dalla cattiveria del vulcano nel 79 d.C. non è stata cosa saggia: gli oggetti sottratti attirano una sfortuna cosmica.

La povera Kimberly, che ora ha 36 anni, ha avuto il cancro al seno e anche una recidiva, il marito è stato travolto da un tracollo finanziario. "Siamo brave persone e non vogliamo passare questa maledizione ai nostri bambini. Abbiamo preso quei reperti senza pensare al dolore e alla sofferenza che quelle povere anime hanno provato durante l’eruzione del Vesuvio e la morte terribile che hanno avuto. Siamo dispiaciuti e ve li restituiamo".

Che portarsi via un pezzo della città sepolta significa anche calamitare il malocchio è risaputo. Il giornalista Antonio Cangiano ha scritto nel 2016 anche un libro, intitolato appunto La maledizione di Pompei corredato dalle lettere dei malandrini che restituivano pietre, monete, brandelli di mosaico. Alla base della jella pompeiana c’è la credenza che i fantasmi di quelli che persero la vita nella tragica eruzione del 79 puniscano chi porta via tracce della storia di quel luogo. I saccheggiatori vengono così colpiti da una sventura diventata così frequente da trasformarsi da leggenda in constatazione. Non è vero ma ci credo. Così i calchi o i tasselli di mosaico, asportati dal posto in cui si trovavano duemila anni fa, sprigionano un fluido negativo che fa fuori i taccheggiatori.

D’altra parte la superstizione è direttamente legata all’Antica Roma e ai napoletani che ne sono stati gli esegeti più ortodossi. Questi ultimi hanno nei secoli codificato comportamenti da non adottare mai per non attirarsi persecuzioni astrali. Così non troverete mai dei partenopei veraci che accettano di sedere in tredici a tavola, fare il letto in tre, mettere il cappello o delle monete su letto, aprire in casa l’ombrello. Non se ne parla proprio di concludere un affare di venerdì 17, meglio starsene al coperto, e non uscire neppure di casa. I napoletani attenti a scongiurare ’l’occhio di Santa Lucia’ hanno anche standardizzato una filastrocca, da recitare tassativamente nei periodi in cui tutto gira male:’“Aglie, fravaglie e fattura ca nun quaglie, ‘uocchie, maluocchie e frutticiell rind’ all’uocchie, corna, bicorna e la sfortuna nun ritorna, sciò sciò, ciucciuè’.

Certo, c’è chi obietta dall’alto di un solido scientismo: non credo a scaramanzia e formule magiche. Agli scettici, i previdenti replicano: non costa nulla tenersi nel taschino un bel cornetto rosso, possibilmente collaudato.