Quanto ci costa la rottura con Macron

Sofia

Ventura

Fratelli d’Italia non votò la ratifica del Trattato del Quirinale tra Francia e Italia dello scorso anno. Eppure, dall’incontro tra Meloni e Macron a Roma dopo l’insediamento del nuovo esecutivo, era emersa la volontà di una collaborazione senza pregiudizi. L’incidente di questi giorni tra i due governi, in seguito alle modalità che hanno accompagnato lo sbarco di migranti da navi Ong in Italia, il raggiungimento del porto di Tolone di una di essa dopo i rifiuti italiani e il risalto dato dal nostro governo alla decisione francese come vittoria della sua determinazione, certo non è stato cercato. La reazione francese – forse sproporzionata – ci parla però di un dilettantismo dell’esecutivo e della sottovalutazione di quanto lo sfruttamento propagandistico di un tema come quello dei migranti possa infastidire i partner europei. Ma quel dilettantismo può compromettere, per poi costringere a ricucire, magari con l’intervento del capo dello Stato, un rapporto che con il Trattato del Quirinale ha conosciuto un salto di qualità, ad esempio nel campo della difesa. Un rapporto che appare anche condizione rilevante affinché l’Italia riesca ad avere un certo peso in seno all’Unione Europea e il sostegno della Francia su diversi dossier, dalla nuova tranche di finanziamenti del Pnrr ad eventuali modifiche del relativo piano di riforme al Patto di stabilità, alla questione di un tetto al prezzo del gas, che continua a vedere l’opposizione tedesca. Con Draghi e i più difficili rapporti tra la Francia e la Germania di Scholz sembrava che l’Italia avesse conquistato un nuovo ruolo. Sapevamo che dopo Draghi quella situazione non avrebbe potuto perpetuarsi, ma tra centralità e marginalità vi sono posizioni intermedie. Tenere insieme buon governo e propaganda non è semplice. La seconda può compromettere il primo. E su questo Meloni dovrebbe riflettere.