Il referendum in Svizzera. Quando gli stranieri siamo noi

Se n’è parlato poco, ma s’è tenuto, domenica in Svizzera, l’ennesimo referendum anti-stranieri, che da quelle parti significa soprattutto anti-italiani. La proposta, che tendeva in particolar modo a limitare agli stranieri i posti di lavoro, è stata respinta dal 62 per cento dei votanti. Meglio così, per noi.

Per una curiosa coincidenza, sabato a Ferrara il Premio Estense è stato vinto (ex aequo con Pablo Trincia, autore di “Veleno“) da Concetto Vecchio, un giornalista che ha rievocato una storia di cui s’era persa la memoria: quella di un referendum indetto nel 1970, sempre in Svizzera, per espellere 300.000 stranieri, quasi tutti italiani. Il libro s’intitola appunto “Cacciateli!“ (Feltrinelli).

Quel referendum era stato promosso da un editore di Zurigo, James Schwarzenbach, molto diverso, almeno in apparenza, rispetto a certi estremisti rozzi, beceri e incolti. Schwarzenbach era un uomo colto, raffinato, ovviamente molto ricco, che all’inizio degli anni Sessanta era entrato in politica in una formazione di estrema destra, Nationale Aktion, di cui era diventato l’unico parlamentare. Diede il la a una campagna di odio che partiva da uno slogan che anche oggi ben conosciamo ("Prima gli Svizzeri!") e arrivava a condizionare gran parte del popolo, al punto che sugli annunci delle agenzie immobiliari si leggeva spesso "Non si affitta a cani e italiani".

Perché "Prima gli Svizzeri"? C’era il timore che gli italiani portassero via posti di lavoro? No. Dal 1962 al 1974 la Svizzera non ha praticamente conosciuto disoccupazione. E anzi era solare che gli italiani avessero contribuito in modo determinante al benessere di tutti, in quegli anni del boom. Concetto Vecchio, che è figlio di due italiani che in quel tempo vivevano in Svizzera, spiega tanto odio con la paura della diversità. Gli italiani - che pure erano cristiani come gli svizzeri, e che quindi degli svizzeri avevano le medesime radici culturali - mostravano un modo diverso di parlare, di mangiare, perfino di ballare. E questa diversità genera una paura: quella di perdere la propria identità.

Ma è una paura reale? Non c’è alcun dubbio che l’immigrazione ponga oggi problemi che non possono essere risolti dal buonismo o dal facilismo. Però temere di perdere l’identità è spesso un fantasma pericoloso, che non tiene conto che ogni identità (compresa la nostra) è la somma, nel tempo, di tante diversità divenute ricchezze.

Schwarzenbach perse il referendum per pochi voti (46 a 54 per cento) e oggi il clima in Svizzera nei nostri confronti è molto cambiato. Non ovunque, però, se è vero che in Canton Ticino, domenica, ha vinto il “sì“. Storie diverse, ma che comunque ci invitano a riflettere su quando gli stranieri eravamo, e siamo, noi.