Mercoledì 24 Aprile 2024

Putin: in galera chi parla di guerra all’Ucraina La Rai e l’Ansa ritirano gli inviati dalla Russia

Il Cremlino alza il livello della censura: i giornalisti rischiano fino a 15 anni di carcere. Anche la Cnn e la Bbc lasciano il Paese

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di Massimo Donelli

Prima ha messo in ginocchio l’Europa con manovre di mercato che hanno fatto aumentare il prezzo del gas del 500 per cento (da 21 a 120 euro al megawattora). Poi ha messo a ferro e fuoco l’Ucraina con la scusa di aiutare Donetsk e Lugansk, le due province del Donbass che si sono ribellate al governo di Kiev autoproclamandosi repubbliche indipendenti. Infine, ha messo a cuccia la libera informazione, quella interna (pochissima) e quella internazionale, con una legge che innalza da 3 a 15 anni di carcere la pena massima per chi diffonde notizie false e getta discredito sull’esercito russo. Adesso che cos’altro farà Vladimir Vladimirovic Putin, 69 anni, presidente della Federazione russa, per riportare in vita l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss) e, con essa, l’ordine internazionale che Iosif Vissarionovic Džugašvili, detto Stalin (1878-1953), impose agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna alla fine della Seconda guerra mondiale (1939-1945)? Non lo sappiamo. E se mai fosse esistita la possibilità di saperlo, quella possibilità non c’è più.

A Mosca, infatti, è diventato impossibile fare informazione. Ovvero è stata cancellata la libertà. Perché aveva ragione lo scrittore inglese George Orwell (1903-1950) quando nella prefazione al suo libro La fattoria degli animali (1945), parodia della dittatura sovietica con i maiali al potere, scriveva: "Se libertà vuol dire veramente qualcosa, significa il diritto di dire alla gente quello che la gente non vuole sentire". No. Putin non vuole sentire né leggere le parole aggressione, invasione e guerra nei reportage sull’Ucraina. Così, prima ha chiuso Radio Echo Mosca, nata nel 1991 "per difendere la nuova Russia che sta nascendo" e, quindi, al fianco del presidente Michail Sergeevic Gorbaciov, oggi 91enne, l’uomo che da segretario generale del Pcus (Partito comunista dell’Unione sovietica) aveva demolito l’Urss.

Poi ha oscurato Meduza, quotidiano online e aggregatore di notizie in lingua russa con sede a Riga, in Lettonia. Quindi attraverso il Roskomnadzor (letteralmente, Servizio federale per la supervisione nella sfera della connessione e comunicazione di massa), che controlla i media, ha imposto a Novaya Gazeta, periodico bisettimanale, Dozhd, canale tv indipendente, e Mediaziona, sito online, di cancellare gli articoli in cui si parlava di guerra. Infine, ha bloccato i social network, a cominciare da Facebook e Twitter. Zittite le voci interne (hanno chiuso, per l’impossibilità di fare il loro lavoro, Znak, testata online, e Tomsk Tv2, agenzia di notizie), silenziate quelle in Rete, restavano i media del mondo libero con i loro fastidiosi corrispondenti da Mosca e San Pietroburgo.

Sventolando la minaccia dei 15 anni di galera, Putin ha sistemato anche quelli. La prima a sbaraccare è stata la Bbc, che dal 1922 racconta il mondo al mondo. Gli inglesi, però, hanno la tigna della libertà d’espressione. E, così, in un lampo, la Bbc ha ripristinato le trasmissioni radio a onde corte, abbandonate nel 2008. Poi hanno levato le tende gli uomini di Bloomberg, multinazionale dell’informazione (con agenzia di news, tv, radio e web), subito imitati dall’americana Cnn e dalla tv pubblica tedesca Zdf.

Quindi hanno alzato bandiera bianca la Rai (due corrispondenti e quattro inviati) e Mediaset (un inviato del TG5). Ieri, infine, ha gettato la spugna l’Ansa. E se Mosca arriverà a controllare tutta l’Ucraina, anche nel territorio che il presidente Volodymyr Oleksandrovyc Zelens’kyj, 44 anni, e il suo popolo stanno difendendo a rischio della vita non ci saranno più giornalisti, cameramen e fotografi. Quindi non avremo più parole, voci, immagini. Parlerà solo la propaganda di Putin. E sarà smascherata, così, definitivamente, la finzione scenica della democrazia russa.

Perché oggi a Mosca, come l’altro ieri a Roma e a Berlino, come ieri all’Avana, a Bagdad e a Tripoli, comanda un uomo solo. Un dittatore. Così feroce da far tornare tragicamente attuale un aforisma di oltre 2500 anni fa, attribuito a Eschilo (525-456 a.C), drammaturgo greco: "La prima vittima della guerra è la verità".