Mercoledì 24 Aprile 2024

Promessa del calcio suicida a 20 anni L’ombra del razzismo, il papà nega

Seid Visin aveva giocato anche nel Milan. Al funerale letto il terribile atto d’accusa scritto nel 2019. La famiglia adottiva: "Non strumentalizzate, non era emarginato". Il cordoglio degli ex compagni di squadra

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di Nino Femiani

In quella sua lettera straziante, risalente a gennaio 2019, c’è il dolore e lo sgomento per gli aliti razzisti che sente soffiare su di lui. Seid Visin, ex promessa delle giovanili del Milan, si è tolto la vita a Nocera Inferiore (Salerno), dov’era tornato dopo aver indossato per due stagioni la maglia rossonera e poi la casacca giallorossa del Benevento. Aveva solo 20 anni. Le sue parole suonano come una profezia di fuoco e rimbombano nella mattina dei funerali tra le navate in ombra della chiesa di san Giovanni Battista. "Ovunque io vada, ovunque io sia, sento sulle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone", aveva scritto l’ex baby campioncino. Un atto di accusa, un avvilimento che si propaga dentro quel tempio consacrato all’amore e alla tolleranza. "Buon viaggio campione", si legge su un cartellone piazzato come un chiodo aguzzo davanti alla facciata del San Giovanni Battista. Ci sono tanti che indossano magliette con la scritta "Arrivederci fratello. Ciao talento", mentre passa di bocca in bocca la storia di questo giovane del quartiere Cicalesi che stava scrivendo una favola e che invece è affondato in un’insopportabile pena. Seid nasce in Etiopia e viene adottato da piccolo, da una famiglia salernitana di Nocera. Il calcio è la sua passione, in famiglia se ne parla ogni giorno: delle casacche granate della Salernitana, dei molossi di Nocera e soprattutto di Milan. Viene adocchiato dagli osservatori di Milanello, va per due anni a giocare nelle giovanili rossonere, insieme a Gigio Donnarumma. Gli sembra di aver toccato il cielo e, invece, di colpo si rompe il suo tetto di cristallo. Inizia ad avvertire un razzismo strisciante nelle parole e nei comportamenti, forse sente anche qualche ‘buuu’ sui rettangoli verdi. Lo chiamano "immigrato clandestino", pur se è stato legittimamente adottato. Si sente deriso, non accettato, oggetto di battute e sarcasmo. Vuole tornare dalle parti di casa, indossa la maglia del Benevento, ma non sembra avere più la scintilla per il calcio e anche per le altre passioni: il ballo e il teatro.

Quelle parole infamanti hanno scorticato il suo entusiasmo e lui finisce nelle sabbie mobili dell’isolamento. Poco dopo lascia il calcio professionistico per finire gli studi e gioca con l’Atletico Vitalica, squadra di futsal della provincia di Salerno. Trova un lavoro in un bar-ristorante, ma anche qui sbatte sul muro degli odiatori razzisti che chiedono di non essere serviti da lui. I genitori adottivi lo incoraggiano e pensano che quelli di Seid siano sospetti infondati, ubbie di un ragazzo. Lo dice anche Walter Visin, il papà adottivo: "Mio figlio non si è ammazzato perché vittima di razzismo. Il suo fu uno sfogo, era esasperato dal clima che si respirava in Italia. Ma nessun legame con il suo suicidio, basta speculazioni e strumentalizzazioni". Parole comprensibili di chi vuole spegnere i riflettori.

Il mondo del calcio è sotto choc. "Era un ragazzo come me, un amico – dice Gianluigi Donnarumma –. Ho conosciuto Seid appena arrivato a Milano, vivevamo insieme in convitto, sono passati alcuni anni ma non posso e non voglio dimenticare quel suo sorriso incredibile, quella sua gioia di vivere". Duro invece il commento di Claudio Marchisio: "Un Paese che spinge un giovane ragazzo a fare un gesto così estremo è un Paese che ha fallito. Facciamo un po’ schifo – dice –.Tutti. Di centro, di destra, di sinistra". Anche la politica fa i conti con una cronaca che riporta l’Italia dentro l’incubo della xenofobia e dell’odio razziale. "Chiediamo perdono", twitta Enrico Letta. "Chi ancora distingue o disprezza un essere umano in base al colore della pelle, è un cretino", taglia corto Matteo Salvini.