Profughi afgani, sindaci pronti ma senza soldi. "Il governo deve stanziare risorse"

Il delegato Anci per l’immigrazione Biffoni: "Sono rifugiati politici, hanno famiglie. I costi sono alti"

Alcuni civili afghani appena arrivati a Roma Fiumicino con l’ultimo volo italiano

Alcuni civili afghani appena arrivati a Roma Fiumicino con l’ultimo volo italiano

Il ponte aereo con l’Afghanistan è stato ufficialmente chiuso e chi ha collaborato con l’ambasciata italiana, insieme ai suoi familiari, è stato tratto in salvo dall’inferno di Kabul. Parliamo di circa 5mila persone che sono già sul suolo italiano. Ancora però i sindaci non hanno avuto indicazioni né su quelle che saranno le modalità di assistenza sul territorio che dovranno mettere in atto, tantomeno sulle risorse necessarie che il governo deve stanziare. In attesa di indicazioni c’è, per primo, Matteo Biffoni, responsabile dell’immigrazione per l’Anci nazionale e sindaco di Prato.

Sindaco, a che punto siamo?

"In attesa. Speriamo breve. Ma ancora in attesa. Ho appena mandato un altro messaggio alla ministra Lamorgese".

Perché?

"La legge dice che chi chiede accoglienza nel nostro Paese, deve in prima battuta essere accolto nei Cas, cioè i centri di accoglienza straordinaria. Solo quando viene riconosciuto lo status di rifugiati queste persone possono accedere a un percorso di integrazione vero e proprio che è quello che i Comuni gestiscono attraverso la Rete Sai, cioè il Sistema accoglienza e integrazione".

Quindi i Comuni non sono in campo in questo momento?

"Al contrario, lo siamo eccome. Abbiamo fatto presente al governo che tutte le persone arrivate in Italia dall’Afghanistan possono a pieno titolo essere già considerati dei rifugiati. Se non concediamo questo status a chi rischia la vita nel suo Paese per aver aiutato il contingente italiano, a chi dovremmo concederlo? Ecco perché per loro, e per le famiglie che li hanno accompagnati, la destinazione dei Cas non è la più adatta. Devono poter accedere subito al Sai".

Qual è il problema?

"Che i posti sono esauriti. Lo Stato si è impegnato a rifinanziare la Rete Sai, ma non lo ha ancora fatto. Stiamo andando avanti a promesse. I sindaci di tutta Italia e, lo sottolineo, di ogni schieramento politico, sono concordi nell’offrire accoglienza a queste persone, le immagini disperate dei genitori che passano i figli ai soldati per salvarli o dei giovani che volano giù dal carrello di un aereo già decollato hanno colpito tutti".

Però mancano le risorse...

"Infatti. Mediamente l’assistenza a un rifugiato messa in campo dalla Rete Sai costa 50 euro al giorno, cioè il doppio di quanto costa nei Cas. Anche se si tratta di numeri non molto alti sono soldi che nei bilanci già programmati dai Comuni non ci sono. Non siamo in grado di anticiparli".

Perché costa il doppio che nei Cas?

"La Rete Sai non offre solo vitto e alloggio. La sua forza è l’inizio di un percorso di integrazione. Corsi di lingua italiana, corsi di formazione al lavoro, l’assistenza di un mediatore culturale, quella ai minori per l’integrazione scolastica, ma anche quella universitaria per i giovani. Non possiamo interrompere percorsi di vita già iniziati. E poi chi fugge dalla sua terra vive momenti terribili, spesso ha bisogno anche di supporto psicologico".

Che tempi prevedete?

"Speriamo tutti che la situazione in Afghanistan si risolva, ma è quasi certo che chi è arrivato oggi in Italia ci resterà per molti anni o per sempre".

Ma i Comuni, attraverso la rete di associazioni, sono in grado di offrire i posti che servono?

"Li abbiamo già trovati. Perché i numeri non sono alti e la rete di accoglienza diffusa funziona. È il governo che a questo punto deve darci delle risposte. E perché l’accoglienza per gli afghani sia efficace, devono anche essere risposte rapide".