Giovedì 18 Aprile 2024

La prof da record: "Mai assente per 41 anni"

Maria Filippis: le classi sono come una famiglia

Maria Filippis

Maria Filippis

Napoli, 22 novembre 2018 - E' LA STACHANOV della cattedra, (quasi) sempre presente in quarantuno anni di insegnamento. Mai una malattia, mai un ‘fughino’. Maria Filippis, 68 anni, originaria di Firenze, ma da oltre mezzo secolo a Portici in provincia di Napoli, ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana per la sua carriera di docente di matematica nelle scuole medie, un esempio in tempi di scarso attaccamento al lavoro. "Non ho fatto niente di speciale, nulla di eccezionale", si schermisce.

Mancare all’appello era per lei un evento.

"Mi sono assentata solo per le due gravidanze, per la morte di mio padre e per un incidente accaduto a mio marito. Nessuna ‘assenza da statale’".

Quelle del venerdì…

"O quelle per la settimana bianca e per il rito delle cure termali. Ho sempre provato disgusto per questo andazzo".

Mai venuta voglia di starsene a letto per un ‘filone’?

"Mio marito Luciano faceva l’ispettore alla Mobil, dalle 7 alle 19. Giocoforza mi svegliava, a quel punto prevaleva il senso del dovere".

Cosa pensa delle sue ex colleghe che si danno ammalate e poi volano a Sharm El Sheikh?

"Uno schifo, cosa può insegnare una prof del genere? La docenza non si fa dalla cattedra, ma con l’esempio. Ora la prima cosa che si guarda non è la programmazione didattica, ma il calendario dei ‘ponti’ e delle vacanze invernali".

Ha svolto il suo insegnamento sempre in Campania?

"Sì, nelle scuole medie perché gli studenti a quell’età sono più sinceri e affettuosi. Bambini della provincia napoletana che capivo particolarmente perché, come molti di loro, provenivo da una famiglia della piccola borghesia, non ricca, che si impegnava nel lavoro. Certo c’erano anche tanti che arrivavano da contesti più complicati…".

Spieghi meglio…

"Ho insegnato per venti anni in una scuola media di Sant’Anastasia (Napoli). Un giorno un ragazzino di undici anni venne a scuola con in tasca la pistola dello zio. Non la teneva per minacciare, ma solo per trastullarsi con orgoglio in un gioco da grandi. ‘Professoressa, io da adulto voglio fare il camorrista’ mi disse con ingenuità. Per me fu uno choc, i ragazzini si identificavano in quell’ambiente criminale perché procurava soldi e rispetto. Oggi purtroppo è ancora peggio".

Qual è stato il suo impegno di docente?

"Cercare di sminuire quella fierezza con cui i ragazzini di dieci e unici anni parlavano dei boss e si riconoscevano in loro".

Sa come è finito il ragazzo con la pistola?

"Non so che cosa faccia oggi, spero si sia salvato da quella strada. Molti, dopo i 13 anni, li ho persi di vista purtroppo".

Le sono capitati altri episodi simili?

"Così traumatici, mai. Ma spesso cercavo di leggere nelle pieghe delle loro sofferenze quotidiane, che erano anche quelle delle loro famiglie e dei loro contesti amicali. E vi trovavo angoscia, afflizione e patimento con cui cercavo sempre di misurarmi, dando una mano e rispettando le loro pene. Per questo il rapporto con i miei alunni è sempre stato stupendo, rispettoso delle diversità. Con me erano sempre educati e silenziosi, tanto che qualche collega mi chiedeva come avessi fatto ad ‘ammaestrarli’".

Immagini diverse da quelle attuali.

"Prima la scuola era una famiglia, pensi che coinvolsi mio marito e un suo amico, maestro d’ascia, a costruire con i ragazzi una barca vera. La mia preside chiamava Luciano il ‘socio onorario’".

Ora la scuola è molto cambiata.

"È mutata anche per la costante ingerenza dei genitori. Difendono i ragazzi anche quando sbagliano e, in questo modo, minano l’autorevolezza del docente. Per fortuna io non ho vissuto il tempo degli smartphone, ma noto che sta creando altri sfaceli nella scuola".

Da pensionata ha abbandonato l’attività di docente?

"Macchè. Mi dedico al doposcuola in parrocchia: sono una prof, no?".