Furto di mutande, il giudice: "Per Vallanzasca disdicevole denuncia, fatto di poco conto"

Il Bel Renè è stato condannato a 10 mesi di reclusione e a una multa di 300 euro. Non sono state concesse le atttenuanti generiche, ma l'aggravante della recidività

Renato Vallanzasca in tribunale a Milano (Ansa)

Renato Vallanzasca in tribunale a Milano (Ansa)

Milano, 1 dicembre 2014 - Renaton Vallnzasca, il 14 novembre scorso, è stato condannato a dieci mesi di reclusione e 300 euro di multa per un furto di mutande in un supermercato.  Oggi, arrivano le motivazioni della sentenza scritte dal giudice Ilaria Simi Burgis: "Vallanzasca stesso ha manifestato alla prima udienza che riteneva disdicevole per la sua fama criminale essere denunciato per un fatto di così poco conto (nel corso del suo esame ha sottolineato altresì di non utilizzare mutande dozzinali), mostrando una certa protervia che ben si concilia con la frase di minaccia attribuitagli dalla parte lesa".  Il giudice ha comunque riconosciuto all'imputato l'attenuante dell'avere cagionato alla persona offesa "un reato patrimoniale di speciale tenuità". 

In base a quanto ricostruito attraverso la testimonianza dell'addetto alla sorveglianza dell'Esselunga, quella sera ha visto Vallanzasca camminare per i reparti e nascondere una cesoia e un alimento per le piante liquido in un borsone nero, dopo avergli strappato le etichette, quindi ha fatto la stessa cosa con due confezioni di boxer. Il vigilante lo ha atteso dopo le casse e quando ha chiesto conto a Vallanzasca del contenuto della borsa, quest'ultimo ha reagito dicendogli: "Se mi fai succedere dei casini, poi ti faccio vedere io quello che succede". A quel punto sono arrivati i carabinieri chiamati dalla direzione. Al processo Vallanzasca si è difeso, sostenendo che "fosse stato ordito un complotto ai suoi danni per impedirgli di ottenere ulteriori benefici nell'espiazione di pena e che l'addetto alla sorveglianza fosse stato influenzato dal suo nome e dalla sua fama", ricorda Simi De Murgis nelle motivazioni, facendo riferimento inoltre alla memoria difensiva in cui il 64enne sosteneva che probabilmente il presunto complotto era collegato "alla riapertura dell'inchiesta relativa alla morte di Pantani e alla sua audizione in tale ambito".

Vallanzasca, a cui per questo fatto è stata revocata la semilibertà, ha infatti sostenuto che all'interno del supermercato era stato avvicinato da uno sconosciuto sui trent'anni, che lo aveva chiamato per nome "zio Renato" e che aveva affermato di conoscerlo in quanto parente della sua ex moglie. Secondo il racconto, tale sconosciuto, di nome Pino, si sarebbe proposto di aiutarlo a portare il giaccone e, ricevuta una telefonata in cui l'avevano avvisato che la sorella aveva avuto un incidente, se ne sarebbe andato. Vallanzasca ha quindi ipotizzato che tale Pino fosse d'accordo con il vigilante o che quest'ultimo avesse inconsapevolmente cooperato alla macchinazione ai suoi danni, "il tutto al fine di impedirgli di godere prossimamente di maggiori benefici nell'esecuzione della pena, ovvero di partecipare a un'indagine, quella relativa alla morte di Pantani, in cui fra l'altro Vallanzasca veniva sentito quattro mesi dopo i fatti in esame". Ebbene, per il giudice, "entrambe le ipotesi appaiono però inverosimili". Simi De Burgis, infine, spiega di non aver concesso a Vallanzasca le attenuanti generiche "atteso che il suo comportamento non ha denotato alcuna resipiscenza, ma solo la sua disdetta per essere stato sorpreso a compiere un gesto che non si addiceva alla sua caratura criminale". Invece, viene esclusa l'aggravante della recidiva contestata dalla Procura "considerando che, visto il tempo trascorso dalle precedenti condanne e la diversa natura dei fatti in contestazione il reato ora in esame non appare espressione di una piu' radicata capacita' criminale".