"La privacy non esiste: i social sanno tutto di noi"

I dati degli utenti sfruttati senza consenso per la pubblicità. L'esperto: leggi più stringenti

Giovani ragazze alle prese con i loro cellulari (foto repertorio)

Giovani ragazze alle prese con i loro cellulari (foto repertorio)

NUOVI problemi per la privacy, con i dati degli utenti di Twitter e Instagram usati per la pubblicità senza consenso. Secondo quanto si legge in una nota pubblicata da Twitter, a partire dal maggio 2018 (quando in Europa è entrato in vigore il regolamento Gdpr), il social network fa sapere di aver riscontrato problemi nella gestione dei suoi iscritti. In sostanza, il social ha ammesso di aver condiviso i dati degli utenti relativi all’esperienza di utilizzo con aziende che si occupano della proliferazione pubblicitaria, senza avere raccolto alcun consenso esplicito. Twitter si è scusato e ha consigliato agli utenti di controllare le impostazioni del proprio profilo, mettendo a disposizione un modulo compilabile per mettersi in contatto con l’ufficio protezione dati. C’è poi il caso Instagram, controllata da Facebook, che il 7 agosto ha mandato una lettera di diffida alla startup di San Francisco Hyp3r, che si occupa di marketing e pubblicità, perché interrompa la sua attività illecita di raccolta e uso dati recuperati dal social.  

Alessandro Belardetti

OGNI volta che c’è una ‘fuga’ di dati, il social di turno si scusa e lancia il monito: indagheremo. Poi si ricomincia daccapo come niente fosse. I colossi del web non imparano mai? "Sì, certo – risponde Andrea Zapparoli Manzoni, uno dei massimi esperti italiani di cybersecurity –. Ci stanno prendendo in giro perché possono farlo. Qualunque altra industria, di fronte a certi scandali, andrebbe in bancarotta, ma non le internet company, principalmente perché hanno fatto firmare ai propri utenti dei contratti capestro al momento dell’apertura del proprio profilo, che nessuno legge ma che di fatto costituiscono una manleva totale da qualsiasi responsabilità a carico della piattaforma. Perché non è stata fatta una class action miliardaria dopo Cambridge Analytica? Gli utenti hanno firmato una liberatoria totale a Facebook e non hanno più alcun appiglio per fare causa".

Il regolamento Gdpr sulla prtivacy è solido? "Sì, se consideriamo che è il frutto di lunghi compromessi ed elaborazioni successive. È un insieme di norme ben concepite, per quanto molto difficili da far valere. L’Internet commerciale di oggi si è venuta a creare in assenza di norme e controllo dei governi: la regolamentazione Gdpr va bene in sé, il problema è che arriva quando i buoi sono già scappati. L’unica vera pecca è che la sua applicazione con le relative sanzioni è amministrata dalle Authority nazionali, che la interpretano con notevole discrezionalità".

Dallo scandalo Cambridge Analytica sembra non sia cambiato nulla... "È cambiato molto invece. Le grandi Internet company hanno avuto la conferma di poterla fare franca qualunque cosa facciano, non è un messaggio da poco. La multa di 5 miliardi di dollari ricevuta da Facebook equivale a 2 settimane di profitti aziendali, una pacchia. D’altronde sono loro stessi a primi a definirsi ‘Troppo grandi per essere regolati’".

Quante aziende nel mondo posseggono i nostri dati personali? "I dati di navigazione, le preferenze di acquisto, i clic su banner pubblicitari, gli articoli letti... sono in mano a migliaia di aziende in grado di profilare ciascuno di noi con una precisione inquietante. I dati personali come nome, indirizzo, sesso, età sono in mano a centinaia di aziende. Quelli più sensibili (sanitari, sessuali) a diverse aziende".

Nel 2019 parlare di protezione della privacy ha ancora senso? "Se ci fosse una forte presa di posizione dei governi, la privacy potrebbe essere recuperata come valore essenziale alla base della vita democratica. In assenza di ciò, la privacy è già finita e la sua perdita è irrimediabile, non c’è niente che si possa proteggere".

Avrebbe senso la vendita dei propri dati da parte dell’utente, così da poterne trarre un guadagno in prima persona? "Gli utenti stanno già commercializzando i propri dati. Quanto costerebbero i servizi straordinari che oggi usiamo gratuitamente, se li dovessimo pagare in denaro e non in dati? Migliaia di euro all’anno a testa. Non vuoi pagare il navigatore, il calendario, la mail, l’antivirus, il sistema operativo? Perfetto, ecco, firma qui ed è tutto tuo, gratis ovviamente, caro utente".

Ogni azione che compiamo sui social o nel web (acquisti, prenotazioni, ricerche) è un segreto che sveliamo di noi ai data broker? "Certo. Tutto è misurato, analizzato, verificato, incrociato con altri dati e messo al servizio del business. Ogni clic, like, post, messaggio, telefonata, download, acquisto, ricerca".

Come si proteggono davvero i propri dati? "Smettendo di usare questo Internet. Protestando con i propri rappresentanti. Non ci sono alternative. L’anonimato on line è impossibile per un utente comune".

Quale sarà, dopo i dati, il prossimo oro nero che i colossi del web cercheranno – o stanno già cercando – di accaparrarsi? "Il potere politico. Battere moneta virtuale è solo un esempio. Il prossimo passo è governare, in modo soft, subdolo e indiretto come nello stile della Silicon Valley ovviamente. Sta già succedendo".