Primavalle, gli anni dell’odio Meloni: ora serve pacificazione

Nel cinquantesimo anniversario della strage, la premier scrive a Giampaolo Mattei: basta delegittimazione. E definisce il rogo in cui morirono i fratelli Virgilio e Stefano "tra le pagine più buie della storia nazionale".

Primavalle, gli anni dell’odio  Meloni: ora serve pacificazione

Primavalle, gli anni dell’odio Meloni: ora serve pacificazione

di Antonella Coppari

Giorgia Meloni, presidente del Consiglio ma anche leader del partito direttamente erede del Movimento sociale italiano, invoca la pacificazione, e lo fa ricordando uno degli episodi più atroci degli anni ’70, il rogo di Primavalle, dove persero la vita Stefano e Virgilio, figli del segretario della sezione Giarabub del Msi, Mario Mattei. "Una delle pagine più buie della storia nazionale", riassume in un messaggio inviato al fratello minore Giampaolo, presidente dell’Associazione Fratelli Mattei nell’anniversario dell’attentato. Cui è seguita "una lunga catena di morte e di dolore". La storia non si può cancellare: "Quello che possiamo fare oggi è tenere viva la memoria di quanto accaduto per evitare il pericolo di ricadute e condurre l’Italia e il nostro popolo verso una piena e vera pacificazione nazionale".

A cinquant’anni di distanza da quella tragica notte parlare di pacificazione sembrerebbe una ovvietà. Non lo è: ancora nel 2008, quando Giampaolo Mattei, e Rita Zappelli, mamma di Valerio Verbano, ucciso a 19 anni da tre attivisti del Nar, si incontrarono e si abbracciarono, molti nella base di destra non apprezzarono affatto il gesto.

E nuove polemiche, di segno opposto, si scatenarono qualche anno dopo per la presenza alla commemorazione dell’ex militante dei Nar Luigi Ciavardini. Le ferite non sono rimarginate. "Non mi posso pacificare con persone che non hanno mai chiesto scusa", ammette Antonella Mattei, sorella di Stefano e Virgilio, durante la commemorazione nel luogo della tragedia. E nel giro della premier non mancano di far notare che c’è voluto un certo coraggio perché ognuno continua a ritenersi l’unica vittima.

L’appello però non va inteso solo come rivolto al passato: in fondo i giovani che si davano battaglia allora, oggi sono ultrasettantenni pacificati dallo scorrere del tempo. Giorgia parla con lo sguardo rivolto al presente, a una competizione politica che ancora troppo spesso si basa sulla delegittimazione politica e, a tratti persino antropologica dei rivali: "Non ci devono essere più nemici da abbattere o distruggere, ma avversari con cui confrontarsi civilmente. È l’obiettivo che mi auguro che tutte le forze politiche, le istituzioni, le agenzie educative e la società vogliano porsi per trasmettere alle nuove generazioni un messaggio di rispetto e tolleranza". Non a caso cita il senatore del Pd, Walter Verini, che giovedì nell’aula del Senato ha ricordato i due ragazzi: "Farlo è un dovere". Sulla stessa lunghezza d’onda molti esponenti di destra: dal presidente della Camera, Ignazio La Russa a Lucio Malan. A parte qualche eccezione come quella di Verini, appunto, o dell’assessore alla Cultura del Comune di Roma, Miguel Gotor ("Questi 50 anni non sono passati invano"), si nota imbarazzo a sinistra.

È difficile non augurarsi che le parole della premier sortiscano l’effetto voluto. Anche se ha cercato di muoversi con cautela, senza perdere di vista gli umori della parte più radicale del suo elettorato, l’impianto del discorso rende chiaro che di efferatezze furono commesse da ambo le parti e tuttavia lei si ferma un attimo prima di dirlo apertamente. Fa così anche quando parla di "cattivi maestri sempre pronti a giustificare anche il più orrendo dei crimini o a costruire false verità". È molto probabile che alluda alla decisione dei vertici di Potere Operaio di scatenare una campagna "bugiarda" per coprire i responsabili. Tanto che il co-fondatore di OP, Oreste Scalzone, che parla di "esito non intenzionale", l’attacca: "Quelle frasi sono comunque una moneta falsa". Ma come quelle frasi della presidente del Consiglio possano legarsi al presente resta un mistero.