Venerdì 12 Aprile 2024

Prezzolini, intellettuale senza etichette

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Sandro

Rogari

Giusto quarant’anni fa, alla Casa italiana della Columbia University di New York, lo menzionavano come fosse un contemporaneo. Eppure Prezzolini ne aveva lasciato la direzione nel dicembre 1940. Con l’entrata in guerra dell’Italia, pur divenuto cittadino americano, la sua posizione era divenuta più difficile.

Le accuse incrociate e contrapposte di fascismo e di antifascismo avevano accompagnato tutta la sua permanenza a New York. Salvemini e i suoi amici ne decretarono l’ostracismo. L’Fbi lo mise sotto inchiesta, nel 1941, quando gli Stati Uniti erano entrati in guerra, ma senza risultato. Nelle sue visite periodiche in Italia, durante gli anni Trenta, Prezzolini andava a trovare Mussolini, a Palazzo Venezia. Quindi si recava a Napoli, a palazzo Filomarino a trovare Benedetto Croce, che lo rimbrottava per le sue debolezze filomussoliniane, salvo comunque ricevere l’antico allievo con immutata cordialità.

Era dunque fascista o antifascista? Non era semplicemente omologabile. Era un intellettuale “contro” che con Giovanni Papini era stato grande protagonista della irripetibile Firenze delle riviste: Leonardo e soprattutto La Voce che aveva diretto fino alla vigilia della guerra per poi arruolarsi volontario, in coerenza col suo interventismo. Era stato contro il giolittismo, ma senza cadere nelle spire del nazionalismo. Nel 1924 pubblicò un profilo di Mussolini e l’anno dopo una biografia di Giovanni Amendola, il capo dell’Aventino massacrato dai fascisti a Serravalle Pistoiese.

Allora, da che parte stava Prezzolini? Nessuna. Nel settembre 1922 aveva proposto a Gobetti la creazione della Società degli apoti, ossia degli intellettuali che non la bevono. Naturalmente, il giovane intemerato torinese non aderì e replicò sdegnato. Per Gobetti era il momento di schierarsi, non di pretendere d’essere super partes. Ma in quella proposta c’era tutto Prezzolini.

Tardò a tornare in Italia, dopo la guerra. Venne per la prima volta nel 1955. Spadolini, giovanissimo direttore del Carlino, gli aprì le porte del giornale a una collaborazione andata avanti fino alla morte.

L’ultimo Prezzolini fu uno scrittore difficile: per la sua lettura eterodossa del ruolo dell’America nel mondo, della guerra fredda, dell’Italia del boom. Si riconobbe nel Borghese di Longanesi e inseguì un manifesto dei conservatori. In fondo, in Italia non ci si ritrovava. Nel 1968 si rifugiò a Lugano inseguendo la morte che lo colse a cent’anni compiuti.