Preti pedofili, bufera su Ratzinger "Non agì di fronte a quattro casi"

Report chiesto dalla Diocesi di Monaco: 500 vittime. Benedetto, che fu arcivescovo, esprime "turbamento e vergogna"

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di Giovanni Panettiere

La bufera della pedofilia nella Chiesa si abbatte per la prima volta sui massimi vertici ecclesiali. Se non odierni, del passato prossimo, con accuse pesantissime di negligenza nella gestione di alcuni casi di abusi, mosse ai danni dello stesso Papa emerito, Benedetto XVI, in un report sulle violenze commissionato dall’arcidiocesi di Monaco. La Santa Sede non offre difese d’ufficio, promette di esaminare la questione, rinnova la vicinanza a tutte le vittime di pedofilia e reitera "il senso di vergogna e il rimorso per gli abusi sui minori commessi da chierici".

Come anticipato in parte dalla stampa tedesca nei giorni scorsi, il 94enne Joseph Ratzinger, ai tempi in cui è stato arcivescovo del capoluogo bavarese (1977-1982) prima di diventare prefetto dell’ex Sant’Uffizio e poi Pontefice, non avrebbe adottato alcun provvedimento canonico nei confronti di quattro preti accusati di abusi sui minori e rimasti in servizio pastorale. In due casi si tratta di religiosi le cui violenze erano state documentate da tribunali statali. A tutto ciò si aggiunge la reprimenda più grave sul piano morale secondo la quale "non è stato ravvisabile" alcun interesse per le vittime da parte di Ratzinger.

A gettare un’ombra sul predecessore di Francesco – autore d’innovativi e fermi documenti anti-pedofilia – è un dossier indipendente di oltre 1.000 pagine, commissionato allo studio legale Westpfahl Spilker Wastl dalla Chiesa di Monaco, per far luce sulle violenze perpetrate nell’arcidiocesi tedesca fra il 1945 e il 2019. In totale 497 vittime e 235 responsabili, tra preti e diaconi, per casi per lo più non denunciati. In risposta a numeri così pesanti, Benedetto XVI, che ha prodotto una memoria difensiva di 82 pagine allegata al rapporto, attraverso il segretario particolare Georg Gaenswein, ha espresso "turbamento e vergogna" e manifestato "la sua personale vicinanza e preghiera per tutte le vittime". Sullo sfondo del report di Monaco, che inguaia per la gestione di un paio di vicende anche l’attuale arcivescovo Reinhard Marx, si stagliano legami mai idilliaci fra Benedetto XVI, ai tempi del Vaticano II (1962-1965) uno dei principali periti riformisti poi divenuto ’il pastore tedesco’ agli occhi dei detrattori, e i vescovi della Germania assestati su posizioni progressiste sin dai tempi dell’enciclica Humanae vitae (1968) contro la pillola.

Davanti alle anticipazioni di stampa su uno dei quattro casi contestati, quello di un presbitero trasferito dalla diocesi di Essen a Monaco, nonostante fosse nota la sua condotta, nei giorni scorsi Benedetto XVI ha sostenuto di non essere stato presente ad una riunione importante nel 1980, nella quale si decise di prendere il prete nell’arcivescovado bavarese e impiegarlo a contatto con i fedeli. Ma dal protocollo della seduta risulta che Ratzinger non fosse assente. Per gli estensori del dossier la sua smentita è "poco credibile" anche perché "molto probabilmente" ai tempi sapeva ciò che accadeva in arcidiocesi.

In attesa di vedere quale sarà la risposta compiuta della Santa Sede, è difficile immaginare che possano esserci indagini canoniche sul conto del Papa emerito. "Non vedo pericoli di accuse formali – spiega Pierluigi Consorti, docente di Diritto canonico all’università di Pisa, ben informato sulle dinamiche interne alla Santa Sede –. Vedo un vescovo che forse faceva ciò che gli dicevano di fare. La mentalità allora era diversa". Sarà proprio con Benedetto XVI che gli spostamenti di preti ’sospetti’ da una parrocchia all’altra o fra diocesi inizieranno a non essere più la prassi. A meno che non si voglia distorcere la memoria storica e colpire, se non la persona, l’eredità di chi si dimise nove anni fa.