Venerdì 19 Aprile 2024

Presidenzialismo sì o no? Esiti incerti, guasti sicuri Lasciamo stare il Colle, avanti con le riforme

Lo storico Rogari: l’impianto costituzionale ha creato instabilità politica, ma la Costituzione non si cambia a colpi di maggioranza parlamentare. La soluzione? Riequilibrare le funzioni istituzionali sul modello tedesco

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di Sandro

Rogari

È una storia iniziata esattamente quarant’anni fa. Passa attraverso tre Bicamerali, fallite, e si conclude, per ora, col referendum costituzionale confermativo del 4 dicembre 2016, anch’esso fallito. Allora si disse che nessuno avrebbe più osato azzardare l’impresa, ma la previsione era sbagliata. Perché la necessità della riforma istituzionale è fondata e perché le elezioni hanno determinato una maggioranza politica deliberata ad arrivare in fondo.

Detto ciò, è bene fissare alcuni punti. Il primo riguarda la premessa e condizione della funzionalità istituzionale, ossia la legge elettorale. Si tratta di legge ordinaria e per questo ha subito molte modifiche e stravolgimenti da quando i referendum di Mario Segni hanno abrogato la legge proporzionale. Questa aveva accompagnato la storia della Repubblica fino alla crisi dei partiti di massa. Era stata varata dal primo governo De Gasperi, nel 1946, per formare l’Assemblea costituente che doveva rispecchiare proporzionalmente le culture politiche e poi aveva accompagnato la storia del sistema dei partiti fino al 1993. Fine della guerra fredda; fine del bipolarismo anomalo in salsa italiana, fine del proporzionalismo e, di conseguenza, fine della Dc che si collocava al centro dello schieramento politico e ne erodeva le ali, a destra e a sinistra. Il Mattarellum, che governò le elezioni del 1994, aveva una ispirazione in prevalenza maggioritaria, con collegi uninominali, al 75%. Il restante 25% era attribuito alle liste in competizione con sistema proporzionale. Era una soluzione di compromesso fra il vecchio e il nuovo, ma è stata la migliore legge elettorale della serie inaugurata nel 1994, a torto abbandonata. Aveva il pregio di configurare un bipolarismo non più anomalo, dopo l’esaurimento dei regimi comunisti, e non produceva un Parlamento di nominati, come l’attuale.

Quindi il primo passo di qualsiasi riforma istituzionale è riformare la legge elettorale. Altrimenti il resto sarebbe inutile.

Il secondo presupposto è di metodo. Le riforme istituzionali non possono essere il prodotto di una maggioranza politica. Debbono essere frutto di una larga condivisione: valgono per il futuro del Paese, non della singola legislatura. È bene quindi che la maggioranza in carica dialoghi con le forze di opposizione disponibili. Non saranno tutte, ma se la riforma trova una larga condivisione, le opposizioni ideologiche e di principio alla riforma si sterilizzano da sole e sono destinate alla sconfitta.

Poi entriamo nel merito e qui, come è emerso dal dibattito in corso su queste colonne, i pareri sono difformi. Cerco quindi di argomentare il mio.

I soggetti che hanno prodotto il corrente sistema istituzionale italiano sono due: i Costituenti e la Storia. I primi hanno operato disegnando un sistema parlamentare ove i governi debbono essere sorretti dalla fiducia delle Camere.

Un sistema adatto al nostro Paese e che si è consolidato, in continuità con l’età liberale. Nel configurarlo, però, hanno commesso due errori che erano tali, anche se camuffati, anche ai tempi dei partiti di massa e che hanno concorso a fare esplodere la crisi.

Il primo errore è stato creare due Camere con poteri paritetici di fiducia. Appena si è verificata difformità nelle maggioranze, i governi sono divenuti ancor più instabili. Questo era un aspetto cruciale della riforma Renzi che non può essere eluso.

Il secondo errore, frutto dei tempi, fu l’indebolimento dell’esecutivo per dare centralità al Parlamento.

Questo ha creato instabilità dei governi che è stata in parte compensata dalla continuità della Dc. Morta la Dc il difetto si è accentuato. Ma si può rimediare importando l’istituto della sfiducia costruttiva della Costituzione tedesca per il quale nessun governo può essere sfiduciato senza proporne uno immediatamente alternativo.

Quanto alla Storia, si è occupata di fare del presidente della Repubblica una figura di riferimento e identitaria per tutti gli italiani. Non andiamo a guastare questa conquista. Il presidenzialismo sarebbe una frattura storica dagli esiti incerti e dai guasti sicuri.

(9 - continua)