Preghiere e ricami nelle chiese "Tele mimetiche per i nostri soldati"

Le donne ucraine nelle navate preparano materiale da inviare al fronte. Intanto il prete dice messa

Migration

di Salvatore Garzillo

LEOPOLI (Ucraina)

Il suono della stoffa strappata si mischia ai canti della messa creando una strana armonia. Mentre il prete celebra la cerimonia alzando il calice al cielo, decine di donne lavorano senza sosta a una tela di ragno retta da una struttura di legno che occupa quasi per intero la piccola navata. Nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù, nella periferia di Leopoli, c’è una parte di resistenza che non imbraccia armi ma aiuta a nasconderle con grandi coperte mimetiche da inviare al fronte.

"I nostri uomini stanno combattendo, rischiano la vita ogni giorno, molte di noi non sanno se siano ancora vivi. L’unica cosa che possiamo fare per aiutarli è ricamare queste coperte intrecciate". Mentre ci parla Natalya non interrompe mai la sua operazione, le mani continuano a muoversi in automatico. Suo figlio ha circa 10 anni, è addetto a strappare le strisce di tessuto e ad ammassarle sul pavimento per consentire a tutte di andare avanti senza interruzioni. Per lui è un gioco e Natalya, in qualche modo, è sollevata. "La guerra ci ha travolti tutti, non abbiamo più certezze, solo dubbi e speranze. Ricamare è la nostra terapia".

Nell’altra metà della chiesa ci sono anziane signore che recitano il rosario in ginocchio, ciclicamente si tirano su con fatica e vanno al telaio ad aiutare. È una catena di montaggio, una fabbrica paramilitare con musica sacra in sottofondo.

"Chi siete voi?", chiede con tono poco accogliente Irina, 20 anni e una voglia matta di diventare influencer su Instagram. Anche lei intreccia reggendo il passo delle veterane. "Da che parte state? Cosa pensano gli italiani di questa guerra? Perché non dite alla Nato di intervenire? Perché non gli dite di chiudere lo spazio aereo?". Rovescia le sue domande con la stessa velocità con cui ricopre un settore del telaio, pur vivendo i social non si fida di loro o almeno non capisce dove cercare la verità. "Vedo che gli italiani stanno aiutando gli ucraini ma la vostra politica mi sembra immobile, come se stesse in attesa di qualcosa. E noi non abbiamo tempo, come dobbiamo spiegarvelo?".

Ci sono due Irina. Quella dei filtri di Instagram che coprono le imperfezioni e quella delle mimetiche che coprono mezzi e trincee al fronte. E ci sono due preghiere. Quella per proteggere i ’figli’ dell’Ucraina e quella per scacciare gli invasori russi. "Siamo tutte madri, anche quelle che vivono in Russia – continua Natalya –. Siamo sorelle legate dal dolore ma i nostri popoli non sono più fratelli. Quel tempo è finito". Tutti gli ucraini incontrati in queste settimane non fanno che ripeterlo. Ci vorranno decenni, forse, per ritrovare una riconciliazione.

In un’altra chiesa del centro, invece, a indossare le mimetiche sono i soldati che portano la bara dei loro commilitoni morti a Mykolaivka durante un raid. Accanto alla navata principale c’è un altare con le foto di centinaia di altri caduti in questi otto anni di guerra nell’est. Lo spazio sui pannelli sta finendo. I civili piangono, i soldati hanno il volto pallido, stremato. E la guerra è iniziata ’solo’ da 15 giorni.