A settantaquattro anni, Antonio Bassolino è uno di quelli che non molla.
"Mi chiami tra un po’ che sono a correre".
Due ore dopo la corsa è finita. "Sono in campo da tre mesi. Era il giorno dell’insediamento di Draghi".
Presidente Bassolino, che senso ha per Napoli e per la sinistra questa sua ridiscesa in campo?
"Lo dico nel modo più semplice, e vero: mi hanno fermato tante persone, per la strada, ovunque, di diverso orientamento politico e sociale. Me lo hanno chiesto in tanti".
Si sente un candidato trasversale?
"Sono da sempre una persona di sinistra. Vengo dal Pci. Sono stato un fondatore del Pd e un convinto Ulivista. Volevo il Pd dieci anni prima di quando è stato fondato, e mi considero ormai un uomo delle istituzioni. Almeno così ho sempre pensato il mio mandato da sindaco. Il sindaco da dopo un minuto essere stato eletto è il sindaco di tutti".
Le sue 19 assoluzioni seguite a 19 processi possono aver ingenerato in lei, anche inconsciamente, la voglia di un senso di rivalsa?
"Nel mio rapporto con la città questo nodo, anche interiore, è sciolto da tempo. Semmai hanno contribuito ad accrescere quel senso del dovere civico e politico che mi ha portato a scendere di nuovo in campo".
Che cosa si porta dietro del suo lungo iter giudiziario, dal quale lei è uscito perfettamente scagionato da tutto?
"Un grande dolore rispetto al partito che ho contribuito a fondare".
Non si è sentito difeso a sufficienza?
"Mi sarebbero bastate due frasi, che non ci sono state. La prima: abbiamo fiducia nella magistratura".
La seconda?
"Doveva seguire immediatamente la prima: abbiamo fiducia in Antonio Bassolino, ci conosciamo da tempo e sappiamo che non può aver fatto niente di male o di illegale. Non hanno mai detto queste due frasi assieme".
Perché la sinistra non riesce a uscire dalla soggezione dei pm?
"Non è solo un problema della sinistra. Il tema vero di questi ultimi anni è che la lotta politica si deve fare con la politica e non con l’arma giudiziaria. Sarebbe già questo un grande passo in avanti".
Però la destra è uscita spesso a pezzi da questo rapporto malato, più della sinistra.
"Parlo in generale, mi riferisco ad esempio all’aspetto mediatico".
Di una riforma della giustizia si sta iniziando a discutere. Ha suggerimenti per ministro il Cartabia?
"Il punto fondamentale è la durata dei processi. Siamo in condizioni assurde. Processo giusto in tempi giusti".
I pm hanno troppo potere?
"Nell’ordinamento attuale i rapporti sono squilibrati da tempo".
La rinuncia di Zingaretti a Roma pare aver fatto saltare l’alleanza Pd-5S. Lei ci ha mai creduto?
"Ci troviamo nel bel mezzo di un terremoto politico ancora in fase di assestamento. Pensi alla situazione di tre anni fa, con i grillini al 33 per cento, la Lega al 17, la Meloni al 4. Quante cose sono cambiate, e quante ne cambieranno velocemente ancora".
Il Pd ha così insistito nell’alleanza con i Cinquestelle.
"Il primo problema per il Pd non sono i Cinquestelle, ma è riprendere contatto con buona parte della società italiana. Se una grande forza popolare non riesce a smuoversi dal venti per cento significa che non è una forza popolare".
Nel 2008 Veltroni prese 12 milioni di voti, adesso il Pd ne ha circa sei milioni.
"Il punto è proprio questo. Per dirsi popolari non devi scendere sotto il 30 per cento".
E invece pare che Letta voglia candidare a Roma e Napoli tecnocrati europeisti ed ex rettori. Persone degnissime, ma insomma tutta gente da Ztl.
"Io sto in piazza dalla mattina alla sera, e ci stavo anche da sindaco".
Che differenza c’è tra il populismo che imputate alla destra e l’essere popolari?
"Essere popolari significa rappresentare tutta la società, e non rinchiudersi".