Mercoledì 24 Aprile 2024

Polveriera Brasile. Il cerchio si stringe sull’ex presidente. Arrestati i fedelissimi

L’ex leader sovranista: "Triste per le violenze, presto in patria". Capo della polizia in carcere, chiesto il fermo di un ex ministro

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Torna calda l’America Latina di cui il Brasile aspira a essere la guida politica e sociale, visto che il governo di sinistra di Lula ha diversi omologhi nella regione. Certamente gli incidenti di domenica a Brasilia, i circa 1.500 dimostranti in carcere, "incivili che saranno puniti perché le istituzioni non falliranno" come dice il giudice del Supremo Tribunal Federal Alexandre de Moraes, qualche problema lo sollevano, anche se la situazione appare di nuovo sotto controllo. Ormai sono smobilitati tutti gli accampamenti davanti alle sedi dell’Esercito così come sono stati rimossi blocchi stradali e assedi alle raffinerie. La parola sembra tornare alla politica. Sia la Camera sia il Senato hanno approvato il passaggio dei poteri di intervento alla Polizia federale che ha sostituito quella locale troppo permissiva, ma tutti gli alleati di Bolsonaro hanno votato contro.

IL DIETROFRONT DI BOLSONARO

Da parte sua l’ex presidente, ricoverato in Florida, vuole tornare presto in Brasile e definisce "disdicevoli" gli episodi di domenica. "Sono triste – ha detto – per quello che è accaduto, la violenza non può essere una regola, ma non si possono usare due pesi e due misure se una protesta la fa la sinistra o la destra. Io non ho ispirato nessuno a compiere atti violenti". In Senato è stato il figlio Flavio a pronunciare una fiera difesa del padre. "Non voglio seguire – ha detto – la narrativa bugiarda marxista-leninista come se Bolsonaro fosse in qualche modo collegato a questi atti irresponsabili. Il presidente è rimasto in silenzio, ha sempre agito entro il perimetro della Costituzione".

ARRESTATO IL CAPO DELLA POLIZIA

Le condizioni di quattro dei 46 feriti negli scontri permangono gravi, ma non in pericolo di vita. Fra i 1.500 reclusi nelle carceri, soprattutto a Papuda, dove fu ospitato il terrorista italiano Cesare Battisti, c’è l’ex comandante della Polizia militare del Distretto federale, colonnello Fabio Augusto, con l’accusa di avere favorito i dimostranti. L’arresto è stato chiesto anche per l’ex ministro Anderson Torres che si trova in America. Il ministro della Giustizia, Flavio Dino, ha aperto uno squarcio sui mandanti del "tentato colpo di Stato", pur restando nel vago: "Sappiamo chi sono i finanziatori, li abbiamo individuati in dieci Stati e stiamo indagando su di loro".

Per Bolsonaro, invece, al momento non c’è alcun procedimento penale. Ma il Procuratore generale ha chiesto il sequestro dei suoi beni: deciderà un giudice. "C’è chi voleva un golpe in Brasile – ha detto Lula ai governatori alludendo al predecessore –, ma il golpe non lo avrà mai".

LA MENTE SOVRANISTA

Il ministro Dino non ha chiarito se tra i fautori dei disordini ci fosse anche qualche potenza straniera ripercorrendo quella che è stata la storia del Sudamerica quando gli Stati Uniti lo consideravano il "giardino di casa". I rapporti Biden-Lula sembrano ottimi e hanno sostituito quelli molto forti fra Trump e Bolsonaro veicolati da Steve Bannon che, secondo alcuni analisti, sarebbe la mente sovranista dei fatti di Brasilia avendo "soffiato sul fuoco", come dicono gli osservatori, su quella che continua a definire "l’elezione truffa" di Lula. Che da parte sua non disprezza l’appoggio dI Xi Jinping: "La Cina vuole essere un partner in prima fila col Brasile". Pechino, sta allargando il suo raggio d’azione in tutto il Latinoamerica. Proprio ieri ha perfezionato l’accordo con l’Ecuador del presidente di destra Guillermo Lasso: taglio del debito e canali privilegiati per lo scambio di merci. L’Argentina del socialista Alberto Fernandez ha bisogno di un Brasile forte che nel Mercosur contasti gli altri due Paesi soci: l’Uruguay e il Paraguay guidati dai governi di destra di Luis Alberto Lacalle Pou e di Mario Abdo Benitez.

CAOS IN PERÙ

Chi preoccupa veramente è il Perù, scosso da violenti scontri nel Sud fra governisti e oppositori che hanno già portato a più di 40 morti. Si tratta della scia dei disordini cominciati il 7 dicembre con l’impeachment al presidente marxista Pedro Castillo, insegnante e sindacalista vicino ai maoisti di Sendero Luminoso, ma anche, secondo alcune inchieste giudiziarie, corrotto e corruttore. Il mondo osserva preoccupato questa escalation e altri Stati "fragili" come Cile, Colombia e Venezuela temono di essere contagiati. In tutto questo gli Stati Uniti per ora stano alla finestra, ma non hanno mai negato la speranza che a Caracas Juan Guaidò possa detronizzare Nicolas Maduro, addirittura riconoscono lui come presidente effettivo.