Niente 'grasso' e 'brutto' sui libri per ragazzi. E l’editore riscrive Dahl

Il romanziere è l’autore di bestseller come ’La fabbrica di cioccolato’ e ’Matilde’. Tolti i riferimenti al genere, alla razza, al peso per non offendere nessuno. La protesta di Rushdie: "Così si mina la libertà d’espressione degli autori"

Una scena del film 'Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato'

Una scena del film 'Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato'

Dalla mia editor, da venticinque anni la stessa, ho ricevuto solo lezioni di tatto: mai si è resa protagonista di interventi drastici, di personalismi inutili, di prese di posizione irreversibili. Ogni scritto era una mia creatura e tale doveva restare. Per questo motivo, quando c’era qualche cosa che strideva nella narrazione, Laura – questo il suo nome – me lo faceva gentilmente notare. Perché sostengo da sempre che gli occhi ‘vergini’ s’inoltrano tra le righe scritte assai meglio di quelli di ogni autore, evidentemente annebbiati dall’amore paterno. Sono figlio dell’hally gully di Vianello, in cui i Watussi erano ‘altissimi negri’. Ma mai un pensiero razzista ha attraversato la mia mente. Mi immagino con terrore il giorno in cui il mio editore mi presenterà il mio sensitivity reader, una sorta di censore redazionale che avrà il compito di smussare ogni risvolto politicamente scorretto nei miei lavori. Sarà forse il momento in cui smetterò di scrivere.

Per adesso è toccato a Dahl, uno degli autori più letti del mio secolo, padre tra l’altro de La fabbrica del cioccolato e Matilde. Pare che dalle nuove edizioni dei suoi scritti, sentiti gli eredi, l’editore inglese cancellerà parole scomode come "piccolo", "grasso", "nano". Le sostituirà con termini più edulcorati. Eufemismi che non lederanno certo le sensibilità più deboli, ma che non corrispondono all’innocente messaggio di Roald Dahl. Unica attenuante è il tempo in cui lo scritto è concepito: se oggi Edoardo Vianello e l’autore Carlo Rossi riscrivessero Siamo i Watussi cambierebbero diversi termini. Oggi. Ma domani che diritto avrà un censore di scalpellare un’opera d’arte perché non più rispondente alla pubblica morale? Lo stesso Salman Rushdie, che ad agosto ha perso l’uso di un occhio e di una mano per via delle coltellate di un fanatico, ha lanciato l’allarme sulla libertà d’espressione in pericolo.

I braghettoni della Sistina non ci hanno insegnato nulla? Non ricordiamo le più recenti statue romane coperte per non alterare la sensibilità dell’autorità religiosa? Credo che nei comportamenti ci voglia sempre una dose di buon senso e un codice universale. Il buon senso sta nel non alterare una creazione anche se dovesse diventare impopolare per cambio di bandiere politiche o di sensibilità sociale: ogni opera viene concepita per resistere all’eternità, la rivoluzione della morale dura lo spazio di un respiro.

L’universalità della norma è ben diversa dell’estemporaneità per regalare una patina di interesse a chi si sente leso. Volete un esempio: le normative sulla privacy sono ormai in vigore da anni. Mi spiegate perché, mai come oggi, le caratteristiche e le tendenze, anche le più recondite dei cittadini, vengono gelosamente custodite dalle società multimediali e rivendute a peso d’oro. Mi spiegate perché le riprese televisive che inquadrano bambini inconsapevoli vengono oscurate, mentre le pubblicità di enti di beneficenza immortalano piccoli degenti africani per straziare il nostro cuore in barba al divieto di mettere un minore alla berlina?

Questo per dire che la censura non aiuta a diventare politicamente corretti, ma ingegna per eludere i divieti. Censurare Dahl e chi altro scrive non annienterà la follia della discriminazione, ma ne accentuerà i risvolti. Eliminare la scena del bacio del Principe alla Bella Addormentata cancella solo i sogni dell’infanzia; depennare vocaboli non è mai servito a ripulire le coscienze. Le ha solo rese più ignoranti.