Mercoledì 24 Aprile 2024

Poche dosi? Con Draghi la musica cambia Stop all’export di AstraZeneca in Australia

Il premier contro i ritardi della multinazionale: "Prima si rispettino le forniture per il nostro paese". L’Europa appoggia la linea dura

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di Alessandro Farruggia

L’Italia batte il pugno sul tavolo. "Non ci mandano le dosi promesse e vorrebbero esportare in Australia dosi confezionate nei nostri stabilimenti? Allora, ai sensi del regolamento europeo, neghiamogli l’autorizzazione all’esportazione. E se siamo i primi a farlo, meglio". Così il presidente del Consiglio Mario Draghi ha risposto al ministro degli Esteri Luigi Di Maio che gli illustrava il caso chiedendogli di andare avanti investendo l’Unione Europea della decisione. E il premier ha dato formale disco verde: linea dura contro gli inadempienti.

"Il 24 febbraio scorso – informano dalla Farnesina – il ministero degli Esteri ha ricevuto da AstraZeneca la richiesta di esportazione verso l’Australia di ben 250.700 dosi di vaccino". Erano dosi ’infialate’ e inscatolate dalla Catalent di Anagni. "Tutte le amministrazioni consultate hanno dato parere negativo all’export e il 26 febbraio il ministero degli Esteri ha inviato la richiesta alla Commissione Ue, che l’ha approvata. Il diniego all’export, notificato il 2 marzo ad AstraZeneca, è determinato dal fatto che "l’Australia non è un paese vulnerabile", "il permanere della penuria di vaccini nell’UE e i ritardi nelle forniture da parte di AstraZeneca oltre all’elevato numero di dosi della richiesta di export rispetto alla quantità di dosi fornite all’Italia".

Per l’azienda farmaceutica è un avvertimento non da poco. Ma il nuovo commissario straordinario e il nuovo capo della Protezione civile stanno lavorando alacremente a preparare l’accelerazione della campagna vaccinale. Il modello è quello della Protezione civile che potrà contare sul forte supporto delle Forze Armate. La campagna vaccinale 2.0 dovrebbe prevedere regole quadro uguali per tutte le Regioni, che oggi preformano molto diversamente, anche se l’altroieri si sono raggiunte le 172 mila dosi.

La media nazionale è del 75%, ma se la Val D’Aosta è al 90,9%, Bolzano all’86,3%, Toscana e Campania all’82,8%, il Piemonte all’80,7%, l’Emilia Romagna al 77,35, le Marche al 76,8%, la Lombardia è solo al 70,7%, il Veneto al 69,7% e le ultime – Sardegna e Calabria – sono al 60,1% e al 59,6%. Vanno bene le vaccinazioni con Pfizer (93,6% delle dosi ricevute sono state somministrate) malissimo per Moderna (32.3%) e AstraZeneca (33,2%). Si lavorerà per linee guida nazionali ma non solo. Bisogna, dopo l’intesa quadro nazionale, stringere anche a livello regionale gli accordi con i medici di famiglia. E l’indicazione è anche quella di usare le scorte del vaccino AstraZeneca per vaccinare una platea più ampia di italiani. "Non senza lasciare scorte – precisa una fonte – ma riducendole al minimo, diciamo calando dal 30% al 15%". È uno dei punti emersi, dal vertice tra il commissario Francesco Figliuolo, il ministro della Salute, Roberto Speranza e il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio. Sul tavolo anche la possibilità di poter estendere l’uso del vaccino AstraZeneca agli ‘over 65’, come han deciso di fare Germania e Svezia, ma su questo aspetto occorre l’ok dell’Aifa, al quale il ministro Speranza ha chiesto un parere. Il governo ha anche aperto alla possibilità che le aziende provvedano a vaccinare i propri dipendenti: su questo ieri il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha convocato in tavolo con imprese e sindacati. E poi il governo è pronto a mettere sul piatto da 400 a 500 miliardi per la creazione di un polo italiano dei vaccini e del biotech.

"Una partenership pubblico-privata – ha annunciato il ministro Giancarlo Giorgetti – che avrà il contributo della Stato nella fase iniziale e la determinate partecipazione dei maggiori attori dell’industria farmaceutica italiana". Bene, ma ci vorranno almeno 6-7 mesi per attrezzare le aziende a produrre i principi attivi. Se il governo Conte ci avesse pensato nel 2020, sarebbero già disponibili.