Covid, più ricoveri: terza dose in ritardo. E allora perché chiudono gli hub?

Virologi ed epidemiologi in pressing sul governo. Intanto crollano le somministrazioni: solo 170mila ogni 24 ore

Terza dose al via in Emilia Romagna agli over 60 (ImagoE)

Terza dose al via in Emilia Romagna agli over 60 (ImagoE)

Roma, 27 ottobre 2021 - Il prossimo hub a chiudere i battenti sarà quello della cattedrale del basket di Bologna. Domani, per l’esattezza, dopo che, tra primavera ed estate scorse, la struttura allestita nella Unipol Arena di Casalecchio di Reno ha messo in cascina centinaia di migliaia di vaccinazioni, contribuendo a far raggiungere all’Italia il per nulla scontato target dell’80% di over 12 immunizzato. Eppure, adesso che il Covid sta rialzando la testa e si scommette sulle terze dosi per fronteggiarlo – ma, quanto a iniezioni fatte, siamo ancora attorno al 31% della prima platea prefissata di sanitari, Rsa, over 80 (tre categorie che si vuole ’coprire’ entro l’anno) e ultrasessantenni –, nei piani dell’esecutivo i mega centri vaccinali finiscono nelle retrovie.

Terza dose e Green pass, Sileri: "Collegamento ragionevole"

Bollettino Covid 26 ottobre: 4.054 nuovi contagi e 48 morti

Vaccini Covid meno efficaci, più contagi. Ma la nuova campagna non decolla

Se ne può fare senza (almeno in parte) per la rabbia di epidemiologi e virologi che, in allarme a causa dell’incremento costante dei ricoveri (anche ieri +25 dopo il balzo di 106 unità registrato lunedì), vogliono scongiurare (quanto prima) i plumbei scenari britannici. Oltremanica le cifre parlano di 40-50mila contagi giornalieri e centinaia di decessi al ritmo di 24 ore. Nel Belpaese va meglio evidentemente, anche se ieri si è scavallata la soglia dei 4mila nuovi positivi ("Non accadeva da tanto, cosa aspettarci è difficile dirlo", si è lasciato scucire Gianni Rezza, direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute).

Nel frattempo, a partire da giugno, quando la strategia governativa si è orientata per il secondo richiamo soprattutto su farmacie e ambulatori di medicina generale, dei 200 hub sparsi da nord a sud del Paese ne sono rimasti via via solo un centinaio. Il centro più grande e rappresentativo, quello della Nuvola di Fuksas alla stazione Termini di Roma, è stato chiuso il 28 settembre. Dei cinque di Milano ne sono rimasti due. E la ricaduta sul volume d’inoculazioni si vede: giravamo alla media nazionale di 500mila somministrazioni quotidiane, siamo scesi a 170mila. Certo, incidono anche la perdita di spinta persuasiva del Green pass obbligatorio in ufficio e la resistenza sempre più ideologica di una fetta significativa di quei 3,5milioni d’italiani ancora sprovvisti della prima dose. Ma la potenza di fuoco degli hub è confermata dagli scienziati che, dall’inizio della pandemia, compulsano grafici e numeri sull’evoluzione del’infezione.

"Il governo ci ripensi – incalza il professor Carlo La Vecchia, epidemiologo dell’Università Statale di Milano –, quella scelta è stata fatta, quando ancora non era chiara l’urgenza di somministrare la dose booster a tutti gli over 12. I duecento hub sono necessari per mettere al sicuro i 50 milioni di abitanti di cui stiamo parlando entro gennaio e non oltre. Di giorni ne servono cento, si può fare, a patto che si riprendenda a vaccinare mezzo milione di persone ogni 24 ore, senza escludere a priori la possibilità di ridurre a 4-5 mesi l’intervallo di tempo che deve trascorrere dalla seconda dose alla terza". Per riattivare i centri, assicura La Vecchia, "servono invece un paio di settimane. Di certo, la medicina territoriale comunque da sola non basta".

Eccoli lì, anche al centro del dibattito sul secondo richiamo tornano i medici di famiglia. Nei loro ambulatori, fatto salvo in regioni come la Campania o l’Emilia Romagna, le terze dosi non sono partite. Colpa della resistenze degli stessi camici bianchi, vedesi Bologna dove un terzo di loro si è opposto all’inoculazione simultanea di siero anti-Covid e profilassi antiinfluenzale agli over 80? Oppure mancano gli accordi territoriali con le aziende sanitarie? "Niente di tutto ciò, anche al netto di situazioni particolari– s’irrigidisce Silvestro Scotti, segretario della Federazione dei medici di Medicina generale –. È già in vigore un protocollo nazionale, generale, che ci consente di somministrare tutte le vaccinazioni. Noi conosciamo gli assistiti, possiamo convocarli in una volta sola sia per l’antifluenzale, sia per la terza dose. Insomma siamo pronti a fare la nostra parte, anche perché mettetici voi gli over 70 in fila al freddo fuori dagli hub adesso che arriva l’inverno".

E allora come mai che si segna il passo? "Solo nelle regioni che hanno ancora migliaia di dosi rimanenti, è possibile iniettare il booster – risponde Scotti –. Per il resto le fiale non ci arrivano, c’è un problema di approvvigionamento, oltre che tecnologico". Sembra assurdo, ma nel 2021, denuncia la Fimmg, "non abbiamo ancora un software, collegato ai registri regionali, che ci consenta di sapere quando un paziente abbia completato il ciclo d’immunizzazione per calcolare i sei mesi necessari per la nuova iniezione. Siamo costretti a chiamarli per telefono a uno a uno".