Mercoledì 24 Aprile 2024

Pink, nuova droga killer. "Così lo Stato ha lasciato morire mio marito"

Mario, 42enne di Torino, prima vittima in Italia. L'ira della vedova: "Sottovalutata la dipendenza". Oppiaceo sintetico comprato online

La nuova droga sintetica Pink (da Qn)

La nuova droga sintetica Pink (da Qn)

Roma, 21 ottobre 2017 - Francesca due mesi fa ha trovato suo marito stramazzato sul pavimento. Mario, 42 anni, è la prima vittima italiana della Pink, oppioide sintetico denominato U47700 – non ancora dichiarato illegale nel nostro Paese –, che negli Usa ha ucciso 46 persone in un anno. Mario, informatico, la comprava on line pagandola in Bitcoin, la moneta virtuale, e se la faceva arrivare a casa per posta. Sulla sua morte indaga la procura di Torino, che vuole capire come Mario abbia acquistato la droga killer (sono sotto sequestro i suoi dispositivi informatici e il conto corrente è bloccato) e come è possibile che al Sert non abbiano riconosciuto cosa stesse accadendo. In quella sede Francesca e Mario hanno ricevuto il verdetto choc: «Non ha tracce di droga nelle urine e nel sangue, le sue crisi sono riconducibili ad attacchi di panico che probabilmente nascono da problemi di coppia. Potete risolverli da un buon psicoterapeuta».

Mario si è sottoposto a tutti gli esami possibili sulle droghe sintetiche, anche al test del capello: dunque, non ha mai rifiutato un aiuto da parte del Sert e delle istituzioni?

«Mario – risponde la vedova Francesca, 40 anni, di Torino, seguita dall’avvocatessa Silvia Grosso – aveva dichiarato di aver provato tutte le droghe possibili, anche quelle sperimentali. Gli hanno fatto esami – non veniva trattato col metadone –, ma non c’erano tracce di sostanze stupefacenti: a quel punto ci hanno consigliato di rivolgerci a uno psicologo. Il Sert doveva fare test più approfonditi e avviare un percorso di disintossicazione in clinica. Le istituzioni ci hanno abbandonato, dopo aver sottovalutato il caso e dopo aver commesso negligenze, a mio parere».

Cosa vuole dire allo Stato?

«Quello che è successo a Mario non deve accadere più a nessuno. Lo Stato deve subito classificare questa droga, facile da reperire sul web per chi ha un minimo di competenze. È anche molto economica, come sostanza stupefacente. La Sanità deve aggiornare il proprio protocollo in situazioni del genere: le persone come Mario possono guidare, vedere i figli, fare una vita normale; ma in realtà hanno gravi crisi improvvise e la loro personalità è stravolta. È un terreno grigio sul quale bisogna subito fare luce».

Chi era diventato il suo Mario?

«Non era più amorevole come prima, era euforico, parlava molto, era diventato strafottente, faceva discorsi da demente e lavorava moltissimo. Prima invece era molto intelligente, lo cercavano spesso dall’estero per le sue capacità informatiche. La sua vita si era bruciata. Una volta, non ero in casa, i miei figli (10 e 12 anni, ndr) l’hanno visto mettere le chiavi nella bocca del cane come se fosse una serratura: i ragazzi si sono spaventati, non sono saliti in macchina con lui e hanno fatto chiamare il 118 da un vicino. Ma anche quel giorno gli operatori all’ospedale si sono rifiutati di intervenire: avevo chiesto un Tso. ‘Non è previsto in questi casi’, mi hanno risposto».

Come si è accorta che Mario era dipendente dalle droghe sintetiche?

«Il giorno del suo quarantesimo compleanno mi ha confessato di essere entrato in contatto con siti di psiconauti (domini e forum Internet specializzati nelle droghe chimiche dove un frequentatore descrive così la Pink: continuano le sensazioni di rilassamento muscolare e mentale ma non l’euforia iniziale che devo dire è durata pochissimo, ndr). Mario aveva scoperto come farsi una canna con la sigaretta elettronica, fumando un deodorante spagnolo. Poi a casa arrivavano per posta moltissime buste strane e io le nascondevo: ha incominciato a cercarle ovunque, così l’ho messo alle strette e ha ammesso tutto. Gli ho fatto capire che non poteva essere un padre e un marito in quelle condizioni».

Mario si era mai drogato prima?

«Noi non ci siamo mai accorti di nulla, ma lui era molto incline alla sperimentazione. Adesso collego tante cose».

E lei si è mai drogata?

«Assolutamente no, mi fanno paura le sostanze stupefacenti. Sono stata ferita, infatti, dalle offese subite sui social: vengo accusata di essere una tossica e di avere colpe nella morte di Mario. Faccio ancora fatica a respirare, il lutto è pazzesco. Mi costa molto parlarne, ma voglio che nessun altro muoia così».

Perché Mario ha iniziato a drogarsi?

«Non me lo spiego, eravamo una famiglia felice, io e lui ci amavamo. Ho chiesto aiuto anche alla sua famiglia, perché da sola non ce la facevo più. Lui mi diceva: ‘lo faccio a scopo ricreativo’ poi la dipendenza è diventata troppo forte e non riusciva a uscirne. Credo che si drogasse da solo e ne usasse una quantità esagerata: quella sostanza è troppo pesante, pochi la possono reggere. Mario si addormentava all’improvviso a tavola, in piedi per strada, ovunque».

Ha qualche rimpianto?

«No, ho fatto di tutto, mi sono affidata alle istituzioni. Ma sono stata tradita».

Che spiegazioni dava ai suoi figli?

«Dicevo: papà prende medicine che fanno male perché ha il mal di testa. Anche loro lo imploravano di smetterla».

Cosa vuole dire alle madri che perdono i figli per colpa delle droghe?

«Non si può dire niente, è un dolore troppo grande. Prima ero abituata a trovare una soluzione per qualsiasi problema, ora ho scoperto che a volte è impossibile rincuorare chi subisce una tragedia».