Piercing e smalto vietati a scuola Liceali in sciopero

La preside proibisce anche gli smartphone in classe "È per la sicurezza". Gli studenti: "Lei è una dittatrice"

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di Riccardo Jannello

Chissà chi reggerà di più fra la preside Carla Maria Marchetti e i 400 alunni del liceo delle scienze umane e musicali Sebastiano Satta che da due giorni non entrano in classe e restano a presidiare l’istituto all’esterno perché la "dirigente dittatrice", come la chiamano, ha vietato lo smartphone in classe, ha detto no a piercing e unghie lunghe per le ragazze e ha imposto che ogni classe si serva ai distributori automatici di bibite e merendine una sola volta e tramite uno studente che si presenta al bidello addetto alla sanificazione della macchinetta con la lista della spesa dove ci può essere una sola bottiglietta di acqua a testa. Anche lo svolgimento della ricreazione è contingentato.

La professoressa Marchetti spiega di avere messo in campo le misure che le spettano per evitare assembramenti in questo periodo di nuova paura per il Covid e per quanto riguarda piercing e unghie lunghe è tutta questione di sicurezza perché in palestra si potrebbero spezzare e creare guai. Anche ieri gli studenti, incontrando la preside, hanno minacciato: o ci viene incontro o non rientriamo in classe. Stamani ci sarà la riprova, ma le posizioni sembrano distanti. Nella tomba Sebastiano Satta – giurista e poeta – prega che questa vicenda abbia termine. Ai suoi tempi, a inizio Novecento, già andare a scuola era un lusso, figuriamoci non rispettare le regole. Sembra che la cosa che abbia più di tutte scatenato la protesta siano stati i distributori automatici non di libero accesso. Sugli smartphone requisiti all’ingresso i ragazzi chiedono che possano essere portati in classe, messi sul banco e usati solo per le emergenze, mentre la dirigente scolastica afferma che in realtà gli alunni li usano per chattare sui siti internet.

Per quanto riguarda piercing e unghie lunghe gli studenti gridano all’Inquisizione. Eppure in molti casi è proprio il dress code, o l’outfit come va di moda chiamarlo, delle ragazze che ha provocato polemiche e reazioni. Come quando in un liceo di Roma la vice preside intimò alle studentesse di non indossare minigonne perché "anche sbadatamente un professore potrebbe abbassare lo sguardo". Apriti cielo. Qualche settimana fa alla stessa restrizione proposta al liceo Zucchi di Monza i ragazzi hanno affiancato le compagne presentandosi, nella maggior parte, a lezione in gonna "per manifestare il desiderio di vivere in un luogo in cui sentirsi liberi di essere ciò che si è e di non essere definiti dai vestiti che si indossano". E al liceo artistico Marco Polo di Venezia l’insegnante di educazione fisica ha vietato alla studentesse di presentarsi a lezione con un top troppo spinto per non "distrarre i compagni di classe maschi". Il risultato: cinque ragazze durante l’ora successiva si sono presentate in reggiseno. Stavolta gli occhi erano davvero sbarrati.