Domenica 6 Ottobre 2024
MAURO CERRI
Cronaca

Il miracolo del Picasso trovato nei rifiuti, parla la grafologa: “Così ho scoperto che la firma dell’artista è autentica”

Il quadro recuperato in una discarica di Capri da un ignaro rigattiere negli anni ‘60. La milanese Cinzia Altieri, consulente del Tribunale di Milano, ha eseguito la perizia

La firma attribuita a Picasso dalla grafologa milanese Cinzia Altieri. Il ritratto in mano al proprietario Andrea Lo Rosso, figlio del rigattiere di Pompei che lo ha trovato in una discarica a Capri a inizio anni '60

La firma attribuita a Picasso dalla grafologa milanese Cinzia Altieri. Il ritratto in mano al proprietario Andrea Lo Rosso, figlio del rigattiere di Pompei che lo ha trovato in una discarica a Capri a inizio anni '60

Milano – “Servono conoscenze tecniche, equilibrio e capacità di reggere alle emozioni”. In altre parole non bisogna lasciarsi suggestionare dalla possibilità di avere sotto mano un capolavoro. Lo dice Cinzia Altieri, grafologa forense, grafologa dell’arte e criminologa, la professionista milanese che ha vergato la perizia sull’autenticità della firma di Picasso sulla tela ritrovata in una discarica di Capri da un ignaro rigattiere che per cinquant’anni l’ha tenuta appesa in casa.

“Un lavoro che richiede giorni di attente analisi – spiega l’esperta che in 30 anni di carriera ha esaminato opere di Leonardo da Vinci, De Chirico, Dalì e Fontana, per citare alcuni nomi – seguendo gli step di un protocollo internazionale utilizzato dalla polizia scientifica”.

Senza entrare in dettagli tecnici, l’esito dell’accertamento ruota attorno al confronto tra la firma sotto osservazione e quelle comprovatamente autentiche di un determinato autore.

“Va cioè valutata la capacità grafo-motoria dell’artista nel range di variazione”, perché gli autografi non riescono sempre uguali, e “determinata la coerenza tra quella analizzata e quelle certamente attribuite”. Si analizzano e raffrontano, da un lato, i micro-movimenti, la biomeccanica e gli automatismi del gesto, composto e ricomposto più volte, e dall’altro, le tracce ingrandite del materiale utilizzato.

Nel caso di specie, “una pittura ad olio molto densa che, nella firma, mantiene le stesse caratteristiche di altre opere autografate da Picasso”. Nessuno spazio all’emozione, si diceva. “Non mi cambia nulla se una firma sia apocrifa o meno – spiega la grafologa che ha risolto il caso Stefano Binda, recentemente assolto dall’accusa dell’omicidio di Lidia Macchi nel 1987 – a me importa di essere convinta del risultato del mio lavoro”. Un lavoro che si applica alle dispute “artistiche” ma anche e soprattutto a quelle civili e penali, laddove dall’autenticità di uno scritto dipenda l’esito di una causa.