Carabinieri Piacenza, spuntano nuovi audio. "Il negro? Picchiato un po' da tutti"

Uno dei militari si vanta con il figlio 11enne e la moglie: "Colava il sangue. Sfasciato da tutte le parti. Un ragazzino del '96". La procura militare di Verona apre un'inchiesta

Piacenza, una delle immagini choc che ha portato all'arresto di 6 carabinieri (Ansa)

Piacenza, una delle immagini choc che ha portato all'arresto di 6 carabinieri (Ansa)

Piacenza, 23 luglio 2020 - Tra i tanti reati contestati ai carabinieri della caserma Levante (solo uno non risulta coinvolto), ci sono anche le lesioni personali e la tortura. L'inchiesta di Piacenza, che ha portato all'arresto di sei militari dell'Arma, svela particolari choc. Vittime di pestaggi erano, secondo gli inquirenti, soprattutto gli spacciatori che non volevano collaborare ed entrare nella rete di gestione della droga che, secondo le accuse, i militari avevano creato. Questo è accaduto a una persona, a terra ammanettata e piena di sangue, in quella che è diventata l’immagine simbolo di tutta l’inchiesta. Gli inquirenti affermano che era stato pestato brutalmente dentro alla caserma per non aver voluto rivelare dove si trovava un ingente quantitativo di droga sul quale i carabinieri avrebbero voluto mettere le mani.

Le reazioni della politica e della società

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Le ultime intercettazioni

"La personalità dell'indagato rivela come egli abbia la profonda convinzione di poter tenere qualunque tipo di comportamento, vivendo al di sopra della legge e di ogni regola di convivenza civile". Per il gip di Piacenza, Luca Milani, è questo Giuseppe Montella, detto 'Peppè, 37 anni, napoletano, il leader del gruppetto di carabinieri accusati di pestaggi, estorsioni, spaccio e anche di tortura. Un uomo che "non mostra paura di nulla ed è dotato di un carattere particolarmente incline a prendere parte ad azioni pericolose e violente". Basti pensare che uno dei pusher tenuti in scacco dai militari della stazione Levante, di fronte agli investigatori che lo sentono per l'indagine, si dice disposto subito a formalizzare una denuncia, anche a costo di essere rimpatriato perché non in regola con i documenti, poiché la situazione per lui non era più sostenibile.

Dalle foto su Facebook, a bordo piscina della sua villa, sembra un padre affettuoso, sempre sorridente, amante della famiglia. E infatti alla famiglia raccontava le sue gesta - lui che definiva il suo gruppo "una associazione a delinquere" e diceva di essere a capo della "piramide" - senza tralasciare i particolari più cruenti. Accennando alla moglie di una operazione di servizio appena conclusa, dopo aver sottolineato di essersi stirato un muscolo correndo dietro a uno spacciatore le dice senza problemi: "Amore, però lo abbiamo massacrato". L'essersi fatto male, "perché ho corso dietro a un negro", diventa anche un racconto per il figlio undicenne, che incuriosito lo incalza: "L'hai preso poi? Gliele avete date? Chi eravate? Chi l'ha picchiato?". "Eh, un po' tutti", è la risposta dell'appuntato che, come per vantarsi, precisa che anche i suoi colleghi avevano picchiato lo straniero.

E ancora, sempre parlando con la moglie, raccontando le fasi dell'arresto di un maghrebino, si vanta così: "Questo c'ha fatto penare... Mamma quante mazzate ha pigliato... Abbiamo aspettato là dieci minuti, siamo riusciti a bloccarlo, non parlava, e ha preso subito due-tre schiaffi. Ne ha prese amore... in Caserma, amore! Colava il sangue, sfasciato da tutte le parti. Un ragazzino del '96. Non ha detto A". Il suo scopo era eseguire arresti ad ogni costo, così gli ufficiali di grado superiore erano disposti a chiudere un occhio sulle intemperanze e sulle irregolarità che commetteva insieme agli altri militari. Il maggiore Stefano Bezzeccheri (sottoposto ad obbligo di dimora), infatti, scrive il Gip, per impartire direttive di carattere operativo, invece di rivolgersi al maresciallo maggiore Marco Orlando (agli arresti domiciliari), comandante della Levante, parlava direttamente con l'appuntato Montella. È sempre lui a coltivare i rapporti con gli spacciatori, a spostare "fumo" e marijuana organizzando servizi di scorta lungo la strada. Voleva sempre di più e infatti il suo vero obiettivo, scrive ancora il Gip, era quello di riuscire a trafficare cocaina. "A me quello che mi interessa - dice parlando con un altro degli arrestati - è la coca. Se riusciamo... dopo che abbiamo preso due volte, tre volte, quattro volte... se riusciamo ad abbassà un pò il prezzo... sarebbe top".

Nelle intercettazioni precedenti, invece, "hai presente Gomorra? Le scene di Gomorra. È stato uguale e io ci sguazzo in queste cose. Tu devi vedere gli schiaffoni che gli ha dato!", raccontava uno degli indagati (non un carabiniere) a un suo interlocutore, in merito ai modi con cui uno dei militari arrestati si era fatto consegnare un’auto. Motivo per cui, fra le ipotesi di reato, c’è anche l’estorsione.

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Ma tra le 75mila conversazioni telefoniche, ambientali e i flussi di comunicazioni telematiche captati e analizzati dagli inquirenti, ce ne sono altre che rendono l’idea di quanto i carabinieri si sentissero intoccabili e avessero articolato un vero e proprio sistema illecito. "Ho fatto un’associazione a delinquere ragazzi (...), in poche parole abbiamo fatto una piramide (...), noi siamo irraggiungibili". "Abbiamo trovato un’altra persona - prosegue l’intercettazione - che sta sotto di noi. Questa persona qua va da tutti questi spacciatori e gli dice: ‘Guarda, da oggi in poi, se vuoi vendere la roba vendi questa qua, altrimenti non lavori!’ e la roba gliela diamo noi!".

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La Procura Militare

Oggi, intanto, la Procura Militare di Verona ha aperto un fascicolo d'indagine sui fatti di Piacenza. "Al momento si tratta di atti relativi al fatto", ha riferito il procuratore Militare, Stanislao Saeli, il quale ha aggiunto di aver "proceduto sulla base dei provvedimenti cautelari emessi dalla Procura della Repubblica di Piacenza, da cui sembrano già emergere estremi di reati militari". La Procura militare di Verona ha competenza sui reati militari commessi nelle regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino Alto-Adige, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Emilia-Romagna