Martedì 16 Aprile 2024

Peste suina, trema l’export italiano Ma non ci sono rischi per l’uomo

Cina e Giappone fermano le importazioni: in ballo 1,7 miliardi. Nessun contagio se si mangiano carni infette

Migration

di Achille Perego

Un allarme sanitario ma soprattutto economico per il Paese del prosciutto di Parma, della mortadella di Bologna, del culatello e del salame Felino. Perché l’arrivo in Italia della peste suina africana attraverso i cinghiali rappresenta un pericolo sia per la diffusione tra i suini sia per l’export di carne e salumi made in Italy. Export che ammonta a 1,7 miliardi (+12,2% sul 2020 e oltre il 60% verso i Paesi Ue) mentre la norcineria conta 100mila addetti con 20 miliardi di fatturato e 8,5 milioni di suini allevati con in testa Lombardia (4,4 milioni), Piemonte (1,3) ed Emilia Romagna (1,1). Per questo, di fronte ai blocchi sul nostro export già disposti temporaneamente da Cina, Giappone, Taiwan, Kuwait e Svizzera, per evitare "un danno irreparabile", come lo definisce Confagricoltura, al made in Italy è necessario mantenere un elevato livello di allerta, consentire la sicurezza degli allevatori e, chiede il presidente Coldiretti Ettore Prandini, un’azione diplomatica anti restrizioni.

IL FOCOLAIO

DELL’EPIDEMIA

Grazie ai piani di sorveglianza delle Regioni nei giorni scorsi sono stati individuati sei casi di cinghiali infetti nelle province di Alessandria e Genova. Con un’ordinanza i ministri della Salute, Speranza, e delle Politiche Agricole, Patuanelli, hanno vietato per sei mesi in 114 Comuni (78 in Piemonte e 36 in Liguria), la caccia – salvo quella selettiva al cinghiale –, raccolta di funghi e tartufi, pesca, trekking e mountain bike. Il sottosegretario all’Agricoltura, Centinaio, ha annunciato l’istituzione di una task force interministeriale (Politiche Agricole, Sanità, Ambiente) e la richiesta al ministero degli Esteri di attivarsi per tranquillizzare gli altri Paesi mentre la Regione Emilia Romagna ha deciso divieti di caccia a Parma e Piacenza.

L’ORIGINE DEL VIRUS

La pesta suina africana era già arrivata in Sardegna nel 1978 e ancora oggi sono in vigore restrizioni per l’export dall’isola di carni e salumi. Nel 2007, ricorda Giuseppe Merialdi, direttore sanitario dell’Istituto zooprofilattico di Lombardia ed Emilia Romagna, è stata riscontrata in Georgia e da lì in Russia e Paesi dell’Est fino alla Germania e al Belgio. Adesso per la prima volta nella Penisola.

IL CONTAGIO

La peste suina è una malattia altamente contagiosa e spesso letale che colpisce suini, cinghiali e facoceri. Si trasmette per contatto tra animali infetti, con vettori (zecche), oggetti e cibo, anche perché il virus può sopravvivere alcuni mesi in carni e salumi. "È difficile pensare che gli animali in Piemonte e Liguria siano stati contagiati da cinghiali provenienti dall’Est Europa o dalla Germania", sottolinea Merialdi. Più facile un contagio da scarti di cibo infetto mangiato dai cinghiali.

NESSUN RISCHIO

PER L’UOMO

Diversamente da altre zoonosi (la trasmissione da animale a uomo) collegate a virus come Sars, Mucca Pazza e Covid, la peste suina africana colpisce solo i suidi e non ha effetti sull’uomo. Quindi, avverte Merialdi, "non esiste alcun pericolo anche se si dovessero consumare carni o salumi infetti". In più, a oggi non ci sono suini contagiati negli allevamenti e quindi, avverte il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, "serve una corretta informazione ai consumatori per evitare speculazioni commerciali".

IL PERICOLO CINGHIALI

"Siamo costretti ad affrontare questa emergenza – avverte Prandini – perché è mancata l’azione di prevenzione e contenimento come abbiamo ripetutamente denunciato per la moltiplicazione dei cinghiali". Oltre 2,3 milioni di esemplari con 220 milioni di danni all’agricoltura. Una fauna selvatica "fuori controllo" per cui Centinaio auspica interventi come in altri Paesi.