di Achille Perego Un allarme sanitario ma soprattutto economico per il Paese del prosciutto di Parma, della mortadella di Bologna, del culatello e del salame Felino. Perché l’arrivo in Italia della peste suina africana attraverso i cinghiali rappresenta un pericolo sia per la diffusione tra i suini sia per l’export di carne e salumi made in Italy. Export che ammonta a 1,7 miliardi (+12,2% sul 2020 e oltre il 60% verso i Paesi Ue) mentre la norcineria conta 100mila addetti con 20 miliardi di fatturato e 8,5 milioni di suini allevati con in testa Lombardia (4,4 milioni), Piemonte (1,3) ed Emilia Romagna (1,1). Per questo, di fronte ai blocchi sul nostro export già disposti temporaneamente da Cina, Giappone, Taiwan, Kuwait e Svizzera, per evitare "un danno irreparabile", come lo definisce Confagricoltura, al made in Italy è necessario mantenere un elevato livello di allerta, consentire la sicurezza degli allevatori e, chiede il presidente Coldiretti Ettore Prandini, un’azione diplomatica anti restrizioni. IL FOCOLAIO DELL’EPIDEMIA Grazie ai piani di sorveglianza delle Regioni nei giorni scorsi sono stati individuati sei casi di cinghiali infetti nelle province di Alessandria e Genova. Con un’ordinanza i ministri della Salute, Speranza, e delle Politiche Agricole, Patuanelli, hanno vietato per sei mesi in 114 Comuni (78 in Piemonte e 36 in Liguria), la caccia – salvo quella selettiva al cinghiale –, raccolta di funghi e tartufi, pesca, trekking e mountain bike. Il sottosegretario all’Agricoltura, Centinaio, ha annunciato l’istituzione di una task force interministeriale (Politiche Agricole, Sanità, Ambiente) e la richiesta al ministero degli Esteri di attivarsi per tranquillizzare gli altri Paesi mentre la Regione Emilia Romagna ha deciso divieti di caccia a Parma e Piacenza. L’ORIGINE DEL VIRUS La pesta suina africana era già arrivata in Sardegna nel 1978 e ancora oggi sono in vigore restrizioni per l’export dall’isola di carni ...
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