Venerdì 19 Aprile 2024

Pestato in cella a Teheran A 30 anni muore per le torture Studiò a Bologna come Zaki

Mehdi si era iscritto a Farmacia nel 2015 e da poco era tornato in patria. Era in coma da 20 giorni. Il ragazzo egiziano incarcerato al Cairo per due anni: "È una nuova vittima della libertà"

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di Nicoletta Tempera

È un filo sottile quello che collega Patrick Zaki a Mehdi Zare Ashkzari, il trentenne iraniano morto a seguito delle violenze subite per aver manifestato contro il regime degli Ayatollah. Quel filo è rosso come i palazzi di Bologna, dove entrambi i ragazzi hanno frequentato l’università. Respirando una libertà che hanno provato a riportare in patria. E che è costata loro carissima. Per Mehdi, la vita stessa. Con un tweet è stato proprio Zaki, che sta subendo in Egitto un lungo processo per reati d’opinione – "la mia condanna", lo ha definito lo studente – a commentare la notizia della morte del trentenne iraniano, che sotto le Torri nel 2015 aveva studiato Farmacia e aveva lavorato, per mantenersi, come fattorino e come aiuto cuoco in una pizzeria. "Il nuovo anno inizia con questa notizia – ha scritto Zaki – per darci un avviso sulle violazioni dei diritti umani che si verificano nella regione di Swana e in particolare in Iran. Unibo ha ora una nuova vittima della libertà di espressione".

"Mehdi era tornato due anni fa in Iran, dove ora è morto, dopo venti giorni di coma a seguito di torture", ricostruisce il portavoce di Amnesty, Riccardo Noury, che per primo ha diffuso la notizia in Italia. Mehdi era rientrato in Iran per accudire la madre che era in fin di vita. Secondo le prime testimonianze, pare che il ragazzo, fermato durante le proteste contro il regime che stanno infiammando il Paese, sia stato torturato e poi rilasciato per evitare che si sentisse male mentre era in carcere. Poche ore dopo il rilascio, però, è entrato in coma, fino a morire venti giorni dopo a causa delle violenze subite. "Ti seppelliranno accanto alla tomba di tua madre e li ritroverai la pace, ma mi raccomando non farle vedere i segni delle botte e dei lividi e il tuo naso rotto, che hai subito nella detenzione di sicurezza", ha scritto un famigliare.

"Mehdi era uno di noi", racconta commossa Sanam Naderi, iraniana che vive a Bologna, spiegando che la morte del giovane "coinvolge anche Bologna: era conosciutissimo. Era sempre sorridente, un pezzo d’oro". "Mehdi era venuto qui per inseguire il suo sogno – lo ricorda l’amico Ali Jenaban –, ma è dovuto tornare. Anche a casa lavorava in pizzeria. L’ultima volta che l’ho sentito era felice. Anche lui partecipava alle manifestazioni per la libertà, per trovare quello che vogliamo avere tutti noi". "Abbiamo appreso della morte solo l’altra sera, perché i familiari non avevano detto niente, per non avere problemi nel fare il funerale, altrimenti il regime non avrebbe rilasciato il corpo", spiega ancora Sanam. La sua vicenda "significa che il regime è vicino, le vite che prende sono le vite dei nostri amici".

"Le verifiche effettuate sembrano confermare che si tratti di un nostro ex studente. Ma a prescindere da questo accogliamo la notizia con sgomento, dolore e indignazione – ha detto il rettore dell’università di Bologna, Giovanni Molari –. Esprimiamo il nostro cordoglio alla famiglia e la nostra solidarietà a tutte le iraniane e gli iraniani che stanno lottando e soffrendo". "L’università e la città di Bologna continueranno a chiedere giustizia e l’intervento delle istituzioni", ha aggiunto la professoressa Rita Monticelli, coordinatrice del Master Gemma, che frequentava Zaki, e delegata del Comune ai diritti umani.