Pescatori italiani liberi verso Mazara del Vallo. Il comandante racconta la prigionia

Pietro Marrone all'armatore rivela i 108 giorni in Libia: "Cella buia, cibo ci veniva portato in ciotole. Subito delle umiliazioni e pressioni piscologiche"

Liberi i pescatori italiani trattenuti in Libia (Ansa)

Liberi i pescatori italiani trattenuti in Libia (Ansa)

Roma, 18 dicembre 2020 - "Amore mio, ti aspetto a casa. Non vedo l'ora di abbracciarti". Cristina Amabilino, moglie del pescatore Bernardo Salvo, non riesce a contenere la gioia. E non è l'unica. Dopo oltre 3 mesi, infatti, i familiari dei 18 pescatori di Mazara del Vallo sequestrati in Libia e liberati ieri dal governo del generale Haftar, dopo la missione lampo del premier Conte e del ministro degli Esteri Di Maio, sono riusciti a parlare ai loro cari. E adesso i due pescherecci "Medinea" e "Antartide", partiti dal porto di Bengasi, sono in viaggio verso casa, scortati da due navi militari italiane. L'arrivo a Mazara Del Vallo, è previsto domenica e, al momento, sono a 440 miglia di distanza.

A raccontare la prigionia, quei 108 giorni trascorsi in Libia, è il capitano della "Medinea" Pietro Marrone, che all''armatore Marco Marrone rivela: "Abbiamo cambiato quattro carceri in condizioni sempre più difficili". E aggiunge: "E' stato davvero molto complicato: accendevano e spegnevano le luci, a loro piacimento". In particolare, "l'ultima cella, dove abbiamo trascorso la notte prima di avere la notizia della liberazione - continua Marrone -, era buia. Il cibo ci veniva portato in ciotole e non era buono. Abbiamo subito delle umiliazioni, pressioni piscologiche, ma mai violenze. Quando ci hanno detto che era il 'giorno buono' non ci abbiamo creduto".