Perché l’arbitro di calcio è antipatico

Viviana

Ponchia

Maria Sole Ferrieri Caputi sarà la prima donna ad arbitrare nella serie A maschile e in un’intervista a Famiglia Cristiana ammette di sapere a cosa va incontro: "Che sia maschio o femmina non importa, l’arbitro sta antipatico a tutti". Ora provate per un attimo a dimenticare Byron Moreno, l’uomo nero che ci cacciò dal Mondiale (2002) contro la Corea e a distanza di vent’anni rivendica "il diritto di sbagliare finché siamo in vita perché solo i morti sono infallibili". È difficile, sì. Ma fate uno sforzo. Non sono tutti come lui. Nel tennis per esempio c’è gente simpatica con cui si può ragionare. Anche nel basket e nella pallavolo. Dite che è colpa del calcio, metafora di quel pasticcio della malora che è la vita? Esatto, è colpa del calcio, dove l’unico vero nemico di tutti è l’arbitro.

Ma perché? Ennio Flaiano andava dritto al punto: perché emette un giudizio. Lì sui due piedi, in tempo reale. Non domani, non "le faremo sapere". Pierluigi Collina diceva in tre decimi di secondo. Un verdetto d’impulso, un agguato all’attendismo. E questo noi italiani eterni temporeggiatori non lo sopportiamo: ci sarà una manovra bis, un condono. Macché: cartellino rosso. Ma come si permette, chi si crede di essere. Un giudice intangibile all’appello e alla Cassazione. Un sacerdote che infatti entra in campo facendosi il segno della croce ma poi fa di testa sua come sapeva bene Hristo Stoichkov: "Dio era dalla nostra parte, ma l’arbitro era francese". Si perde per colpa sua, si vince suo malgrado. E non lo licenziano mai, perché rigore è quando arbitro fischia. Un dittatore, un tiranno che gode a mandare in esilio i sudditi. Uno che corre il triplo di tutti, e anche questo ci rode. E poi ha il fischietto, con il quale orchestra il vento del fato. Ecco, il punto vero è il fischietto. Lo vorremmo tutti, per certe cose non si cresce mai.