Mercoledì 24 Aprile 2024

Perché Israele non vuole più essere neutrale

Lorenzo

Bianchi

Israele non può permettersi una vittoria russa resa possibile da armi del nemico che teorizza la sua distruzione, la teocrazia degli ayatollah iraniani. Circa un sesto della popolazione dello stato ebraico è di origine russa. Per questo motivo Gerusalemme non applica le sanzioni contro Mosca e si era proposta come parte mediatrice all’inizio del conflitto. La pioggia di droni suicidi iraniani “Shahed 136” (ossia “Martire 136”) che si è abbattuta sull’Ucraina ha convinto Gerusalemme al grande passo.

"Ora – ha twittato il ministro della diaspora Nachman Shai – non c’è più alcun dubbio su quale posizione dovrebbe prendere Israele in questo sanguinoso conflitto. È tempo che l’Ucraina riceva aiuti militari, come previsto dagli Stati Uniti e dai Paesi della Nato". È particolarmente significativo che l’annuncio sia stato affidato al ministro della diaspora, l’esponente del governo che deve garantire agli ebrei di tutto il mondo l’aliyah, il diritto al ritorno. Il 30 settembre scorso, secondo una stima del “Jerusalem Post”, 40 mila ebrei russi avevano già ottenuto il visto per entrare in Israele e 15 mila avevano avviato la stessa pratica.

La reazione russa alla decisione israeliana è ben rappresentata dal numero due del Consiglio di sicurezza della Federazione Dmitrij Medvedev. "È un passo – ha detto – molto sconsiderato. Distruggerà tutte le relazioni interstatali fra i nostri Paesi". Zelensky invece ha motivo di rallegrarsi, avendo ammesso che finora la sua contraerea riusciva ad abbattere solo il 60 per cento degli “Shahed 136”. Da settembre un’azienda israeliana aveva cominciato a vendere alla Polonia sistemi d’arma capaci di interferire con il volo dei droni iraniani.

È ovvio che poi Varsavia li trasferirà all’Ucraina. La dichiarazione del ministro per la diaspora Shai è l’esternazione pubblica di una decisione politica già presa.