Venerdì 19 Aprile 2024

Perché cantare "viva le Br" in Italia si può

L’osceno concerto di Reggio

Michele Brambilla

Michele Brambilla

Che cosa sarebbe successo se a un concerto si fosse esibito un gruppo musicale neofascista, con tanto di camicie nere croci celtiche e magari anche uncinate? Un gruppo che esalta le stragi nere? Piazza Fontana piazza della Loggia e Italicus? Sarebbe successo un casino pazzesco, anzi un simile gruppo non sarebbe neppure riuscito a esibirsi. E giustamente. Ma altrettanto giustamente si sarebbe dovuto impedire di salire sul palco agli imbecilli del gruppo P38-La Gang che il primo maggio a Reggio Emilia, a una festa organizzata dall’Arci, hanno suonato e cantato incappucciati e anonimi inneggiando alle Brigate Rosse e all’omicidio di Aldo Moro. E invece niente, tutto bene.

Gli idioti hanno potuto cantare, esibendo la stella a cinque punte delle Br e un’immagine della Renault 4 rossa con all’interno il cadavere di Aldo Moro, e con a fianco varie scritte tipo la classica "colpirne uno per educarne cento". Del resto una delle loro “canzoni“ s’intitola proprio “Renault“, vettura della quale si esalta la capacità del bagagliaio. E poi appunto niente, tutto bene, nessuno ha detto niente, e niente si direbbe ancora se la porcheria non fosse stata scoperta e pubblicata dal nostro giornale, nell’edizione di ieri.

E che sarà mai successo di male? Il presidente del circolo Arci Tunnel (dove è stata appesa anche una bandiera delle Br), tale Marco Vicini, ha difeso la band dicendo che si tratta solo di "provocazioni" e che sono "i fascisti" quelli che s’infuriano a sentire questo gruppo. Ha poi aggiunto che questi ragazzi hanno cantato anche a Roma, Firenze e Bologna, ed è peggio la toppa del buco, perché davvero si dimostra quanto segue. E cioè.

Il terrorismo rosso è ancora guardato, spesso, con molta indulgenza se non con simpatia, perché si parte dall’assunto secondo il quale i brigatisti in fondo si battevano per una causa giusta, per il comunismo, "per dare a ciascuno secondo il suo bisogno e chiedere a ciascuno secondo la sua capacità", insomma per i poveri, gli oppressi, gli sfruttati. Ma qui si confonde la politica con il terrorismo. I brigatisti non vivevano in una dittatura, vivevano in una democrazia: certo imperfetta e per certi versi limitata, ma una democrazia. Nella quale si poteva votare, nella quale il Pci poteva vincere le elezioni e nella quale loro - invece di votare - hanno ucciso: magistrati, professori, carabinieri, poliziotti, politici, giornalisti, operai.

Verrebbe voglia di mandare questi della P38 a parlare con le vittime delle Br. E invece no: bisognerebbe mandarli da Franco Bonisoli, ex brigatista veramente pentito. Lui può spiegare quale tragico errore è stato, e che peso si porta dentro. Anche lui si sarebbe infuriato, a quel concerto: e lui non è fascista, caro Vicini.

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