Martedì 23 Aprile 2024

Per tre milioni il Covid non esiste E il 5,8% crede che la Terra sia piatta

Il rapporto Censis fotografa un fenomeno inquietante: superstizioni e complottismo, l’irrazionalità contagia gli italiani

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di Elena G. Polidori

ROMA

Sembra impossibile, dopo ormai due anni di pandemia, eppure c’è chi ancora crede che il Covid non esista. Non solo. Sembra che – complice forse proprio la pandemia – un’onda di irrazionalità si stia propagando a macchia d’olio dentro la società. C’è persino chi afferma che la terra è piatta. È una componente minoritaria ma non irrilevante della società, che non è solo nei movimenti di protesta che hanno infiammato le piazze No vax, ma che conquista i vertici dei trending topic sui social e scala le classifiche di vendita dei libri.

È la fotografia del Paese scattata dal 55esimo Rapporto del Censis, che analizzando la situazione sociale del Paese descrive un’Italia in cui si assiste a un boom della povertà, in cui la pandemia ha accentuato la vulnerabilità, mettendo alla prova soprattutto giovani e donne, che guarda con inquietudine al futuro e che malgrado il rimbalzo del Pil non crede che torneremo più al benessere del passato. E, proprio in virtù di questa incertezza, si rifugia nell’irrazionalità, in un novello medioevo che nessuno credeva potesse riprendere foga ed attecchire. E invece.

Ecco, quindi, che il Censis tratteggia i contorni di una sorta di "società irrazionale" che cresce accanto alla maggioranza ragionevole e saggia: ci sono i circa 3milioni di italiani (il 5,9%) per i quali il Covid non esiste, come si diceva, e quelli (il 10,9%) per cui il vaccino è inutile e inefficace; ma ci sono anche la tecno-fobia di chi (il 19,9%, uno su cinque!) considera il 5G uno strumento per controllare le menti e il negazionismo storico-scientifico dei terrapiattisti (il 5,8%) o di chi (il 10%) è convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna, fino ai cospirazionisti del "gran rimpiazzamento" (ben il 39,9%), certi del pericolo della sostituzione etnica voluto dalle élite globaliste.

"Un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico", che è però "la spia di qualcosa di più profondo", avverte il Censis, spiegando che questo non è che l’esito di aspettative che rimangono insoddisfatte.

A partire da quella che riguarda le aspettative di lavoro. La stragrande maggioranza degli italiani pensa di meritare di più in questo ambito (82%) e nella vita in generale (65,2%). Insomma, insoddisfazione, paura per il futuro, indeterminazione personale. A cui si aggiunge un 81% che pensa che sia molto difficile per un giovane vedersi riconosciuto nella vita l’investimento profuso nello studio e due terzi della popolazione (il 66,2%) ritiene che si vivesse meglio in passato.

Ma la fotografia del Censis immortala anche un Paese sempre più povero (le famiglie in povertà assoluta nel 2020 sono 2 milioni, +104,8%), con una situazione peggiorata soprattutto al Nord. Una società in cui il patrimonio delle famiglie continua a ridursi e non sembra sanarsi in alcun modo il gap salariale non solo tra donne e uomini, ma anche tra under 30 e over 45 e tra contratti fissi e a termine; e dove, nella denatalità imperante, a pagare il prezzo più salato della pandemia, sono stati giovani e donne. Le donne, appunto, che nell’anno del Covid hanno avuto più paura con un boom di richieste di aiuto, si sono trovate senza lavoro e con un surplus di difficoltà da gestire in casa con il doppio carico figli-lavoro: il tasso di attività è così sceso al 54,6%, lontanissimo da quello degli uomini (72,9%), collocando l’Italia all’ultimo posto tra i Paesi europei.

Guardando ai giovani, dove non si arresta il fenomeno dei Neet (ragazzi che non studiano e non lavorano) con l’Italia tristemente al primo posto in Europa, l’effetto della pandemia è stato il diffondersi di forme di depressione e disagio esistenziale tra gli studenti.

Nota positiva la ripartenza dei consumi e il rimbalzo dell’economia, anche se restano rischi che congiurano contro la ripresa, dalla fiammata dell’inflazione ai rischi di strozzature sul Pnrr. Una fase di "transizione", più che di "crisi", la definisce il Censis, a significare che "il momento più grave è ormai alle spalle". Ma oggi "l’adattamento continuato" non regge più, ed è necessario ripensarsi, ripartendo dal "reale", conclude il Centro studi che indica la strada: "È il tempo di un cronoprogramma serio", di "riforme strutturali" e "dell’intervento pubblico" con "scelte coraggiose".