Per i giovani il solito futuro senza garanzie

Raffaele

Marmo

Fino a quando non ci sarà un significativo riequilibrio generazionale nelle politiche di welfare, l’Italia, quale che sia il governo, lascerà ai giovani solo mance e un destino di vita grama, prima da precari o da part-time obbligati o da occupati sottopagati e poi da pensionati poveri.

Eppure, a parole, non c’è vigilia di legge di Bilancio o di riforma previdenziale, che non veda gli allarmi e i proclami di tutti i protagonisti della partita d’autunno a favore dell’inserimento di misure pro nuove generazioni o pro donne. Come per un malefico sortilegio, però, quando si va davvero a stringere, a Palazzo Chigi o nei luoghi che contano, partiti e sindacati nascondono le finte carte con la parola giovani e tirano fuori quelle che riguardano i sessantenni garantiti del mercato del lavoro.

E così, nel magico gioco delle tre carte, scompare l’attesa pensione di garanzia per quei giovani che non solo dovranno attendere i 70 anni per lasciare il lavoro, ma che a quel punto si dovranno accontentare anche di trattamenti da fame perché hanno avuto carriere discontinue e bassi salari. Al suo posto vengono confermate quote e marchingegni destinati ai baby boomers degli anni Sessanta, la generazione più protetta della storia.

Allo stesso modo si riducono i soldi veri per le politiche attive e si limitano quelli per la formazione, ma si rimpolpano le risorse per gli ammortizzatori sociali passivi, rivolti a garantire reddito sempre allo stesso target di destinatari, quelli dell’articolo 18 e del tempo indeterminato.

A togliere di mezzo l’ultimo alibi (più anziani escono, più giovani entrano) sul ricambio generazionale, per di più, ha provveduto una recente ricerca di Bankitalia: numeri alla mano, le uscite di Quota 100 hanno determinato assunzioni limitate che ci sarebbero state comunque. Insomma, il re è nudo. Ma anche i nostri ragazzi, con questi partiti e sindacati, no stanno tanto coperti.