Giovedì 18 Aprile 2024

Pensioni a 62 anni e no allo scalone. I sindacati: superiamo la Fornero

Cgil, Cisl e Uil incalzano l’esecutivo. Spunta la ’Quota mamma’: un anno in meno sull’uscita per ogni figlio

La trattativa sulla previdenza

La trattativa sulla previdenza

Nuova flessibilità in uscita a partire dai 62 anni o, in alternativa, con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Pensione di garanzia per giovani, lavoratori discontinui e con basse retribuzioni, per evitare che debbano uscire a 70 anni di età, tutela delle donne, duramente colpite dell’inasprimento dei requisiti pensionistici degli ultimi anni; tutela dei lavori di cura, di chi svolge lavori usuranti e gravosi; sostegno dei redditi dei pensionati; rilancio della previdenza complementare.

I mattoni individuati da Cgil, Cisl e Uil per rimettere mano al cantiere del sistema previdenziale prima di fine anno, quando si chiuderà il passaggio a livello di Quota 100, sono davvero pesanti. La proposta, lanciata dagli stessi segretari generali Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri nell’iniziativa tenutasi ieri on line "Cambiare le pensioni adesso", coincide con la richiesta dell’avvio di un tavolo di confronto con il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che si è detto disponibile (mentre è ancora in corso l’altra trattativa sugli ammortizzatori, la cui riforma partirà invece a luglio).

Ma le cose non sono così semplici, giacché le richieste dei sindacati sono, da un lato, davvero impegnative sul fronte economico; dall’altro si discostano non poco dal disegno, sia pure non ancora netto, che il governo sta tracciando da mesi. E che mette al centro una ‘flessibilità soft’ non proprio gradita alle parti sociali.

La proposta sindacale

Anzitutto Cgil, Cisl e Uil chiedono maggiore flessibilità in uscita, "permettendo di poter scegliere quando andare in pensione, senza penalizzazioni per chi ha contributi prima del 1996, a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età". Contestualmente "vanno sensibilmente ridotti i vincoli che nel sistema contributivo condizionano il diritto alla pensione al raggiungimento di determinati importi minimi del trattamento (1,5 e 2,8 volte l’assegno sociale), penalizzando i redditi più bassi". Il che si collega alla richiesta della pensione di garanzia per i giovani con lavori discontinui. Non basta. Va riconosciuta la differente gravosità dei lavori e del lavoro di cura delle donne, che va retribuito e ‘premiato’ con un anno di anticipo per ogni figlio.

L'ipotesi Tridico 

E proprio dall’Inps, attraverso il Presidente Pasquale Tridico, viene un’altra proposta che prevede la divisione in due dell’assegno pensionistico: la parte contributiva condurrebbe a una uscita verso i 62-63 anni con 20 anni di contribuzione e al relativo pagamento. Sarebbe questa la parte da collegare alla "staffetta generazionale", "ovvero la trasformazione dei contratti dei dipendenti più anziani in contratti part-time con assunzioni di lavoratori giovani". La parte retributiva si potrebbe raggiungere invece solo al compimento dei 67 anni prevedendo alcune agevolazioni.

Il piano del governo

Il governo, almeno nella sua versione più tecnica, una volta archiviata Quota 100 intende, invece, irrobustire soluzioni collaudate ma non generalizzate: dall’opzione donna (uscita con 35 anni di contribuzione e 58 anni d’età, 59 se autonome) all’Ape sociale (prevista da 63 anni per le categorie che svolgono mansioni faticose), fino ai lavori usuranti veri e propri e ai lavoratori cosiddetti fragili. Ma a fare da trait d’union tra governo e parti sociali in questa difficile trattativa c’è il potenziamento del "contratto di espansione", allo studio dell’esecutivo: un accordo aziendale per mandare in pensione fino a 5 anni prima i lavoratori anziani e assumere giovani. Una via che favorirebbe la gestione delle ristrutturazioni post pandemia e post fine del blocco dei licenziamenti. Il costo per le imprese dell’anticipo sarebbe compensato dall’indennità di disoccupazione erogata dallo Stato.