Giovedì 25 Aprile 2024

Pausini, bufera social Lei non canta Bella ciao "Allora stai con i fascisti"

L’artista romagnola replica: non voglio essere usata per la propaganda politica. Salvini: non è un reietto chi non l’intona. Fratoianni: quel testo parla d’amore

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di Antonella Coppari

Il paradosso è che la stragrande maggioranza dei partigiani Bella ciao non l’ha mai intonata. Era un canto noto solo ad alcuni combattenti di Reggio Emilia, del Modenese e della Brigata Maiella. Sino al 1953 non ce ne sono grandi tracce. Finché lo chansonnier francese di origini toscane, Yves Montand, non la impone dieci anni dopo come canto partigiano per eccellenza. Da quel momento dilaga, diventa il simbolo di una Resistenza che pure la conosceva poco. Per esplodere in tutto il mondo quando gli sceneggiatori della fortunata serie spagnola La casa di carta la piazzano nella colonna sonora.

È per questa via che l’inno non partigiano arriva ad inguaiare Laura Pausini, colpevole di non averlo voluto intonare l’altra sera, nonostante la richiesta del conduttore di El Hormiguero, noto programma della tv spagnola. Non che l’artista sia sospetta di nostalgia per l’orbace: lo sanno tutti e lei lo conferma su Twitter: "Non canto canzoni politiche né di destra né di sinistra. Canto quello che penso della vita da 30 anni. Che il fascismo sia una vergogna assoluta sembra ovvio a tutti". È solo che non desiderava fare campagna elettorale: "Non voglio che nessuno mi usi per la propaganda politica. Non inventassero ciò non sono". E si può capire che in un clima in cui non c’è personaggio pubblico che non si senta in dovere di influenzare con un comizietto, il rifiuto sia apparso inconcepibile. I politici, tutto sommato, si contengono: l’unica sopra le righe è Mariza Bafile, candidata Pd per la circoscrizione Estero-Europa: "Vergognosa la posizione su Bella ciao". Matteo Salvini ovviamente fa scudo: "Adoro Laura Pausini, non è che se uno non canta Bella ciao è un reietto. È una canzone che viene strumentalizzata, ed è sbagliato". Nicola Fratoianni se la cava con eleganza. "È una canzone politica, ma è soprattutto una canzone d’amore".

E i colleghi del mondo dello spettacolo? Pif è sulla linea Bafile: "Non cantarla per non prendere posizione è una gran minchiata: quando ti rifiuti di cantarla hai già preso posizione". Simona Marchini notifica che lei l’avrebbe cantata. E provenendo da una delle famiglie rosse storiche di Roma non è che si nutrissero grandi dubbi. Simone Cristicchi, invece, si schiera a difesa: "Capisco la scelta. Ci sono cantanti che non vogliono schierarsi politicamente e Bella ciao è stata spesso demonizzata e messa al centro delle polemiche". Ma se dal ristretto palcoscenico dei vip si passa alla rete, la musica cambia. Sui social diluviano commenti di ogni tipo, s’incrociano le lame e volano parole grosse: il nome della Pausini è tra i più citati su twitter. "Lei preferisce faccetta nera", cinguetta qualcuno. "Basta accanirsi su di lei: ricevere la stima di Salvini è una punizione sufficiente", rilancia un altro. E poi: "Lei non usa le frecce della macchina perché dovrebbe scegliere tra destra e sinistra". Ancora: "Ha fatto bene Marco ad andarsene e non tornare più", c’è chi ride citando una hit della Pausini. Quindi: "Bella ciao è divisiva solo se sei fascista". Tra i difensori c’è l’ex parlamentare dem Anna Paola Concia: "Adesso il problema è Laura Pausini che non canta Bella ciao. Davvero? Le bollette non vi sono ancora arrivate?".

È la rete bellezza e non cambia mai. Qualche interrogativo resta su quanto sia incisiva un’esposizione degli influencer: l’esempio di scuola è la vittoria di Trump nel 2016. Tra i nomi risplendenti, che si trattasse di attori, intellettuali, scrittori, l’unico schierato con ’l’impresentabile Donald’ era Clint Eastwood. Nonostante un’esposizione molto militante contro, Trump ebbe la meglio su una Hillary Clinton data per trionfante. Il secondo quesito inevaso riguarda le modalità di campagne elettorali giocate essenzialmente in rete dove la logica prevalente finisce sempre per essere quella dei like e dei dislike, ovvero dei mi piace e non mi piace. Insomma, non proprio quello che si intende per una corretta dialettica politica e democratica.