Mercoledì 24 Aprile 2024

Paura in America Fallisce la banca delle startup Wall Street a picco

Il default della Silicon Valley Bank è il più grande dal 2008. Il crollo agita i mercati: si teme l’effetto contagio

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di Cesare De Carlo

Forse non è una nuova Lehman Brothers. Forse non determinerà la slavina di insolvenze che nel 2008 diede l’avvio al disastroso meltdown (squagliamento) della borsa e delle banche, a loro volta causa della successiva decennale depressione nell’intero Occidente. Depressione – va ricordato – seconda sola per gravità a quella del 1929. Incrociamo le dita. Ci mancherebbe anche questa in tempi di incombente guerra fredda e di attuale guerra calda.

BORSA IN CALO

Ma è un fatto che la chiusura della Silicon Valley Bank, il maggior collasso bancario dopo la Lehman, faccia correre brividi lungo la schiena degli investitori nelle Big Tech. Era fallita una disperata raccolta di liquidità. Wall Street accusa il colpo. I correntisti dell’istituto hanno assaltato le filiali per ritirare i propri soldi. Massicci cali del Dow Jones e del Nasdaq. E non da ieri. Anche il superdollaro arresta la corsa. Già in mattinata la quotazione della Silicon Valley Bank era stata sospesa. In apertura flessione a doppia cifra in percentuale e l’altro ieri addirittura il 60. Il motivo: Gregory W. Becker, Ceo della banca, aveva tentato di rastrellare il mercato. Aveva venduto 21 miliardi di dollari di securities e ne offriva un miliardo in azioni. È bastato per un’ondata di disinvestimenti. E non solo in quella banca, banca simbolo, finanziatrice di startup, ma tutto sommato di dimensioni modeste. Vendite nell’intero settore bancario.

LICENZIAMENTI

Janet Yellen, segretario al Tesoro, assicura di seguire "la cosa con molta attenzione". E fa bene. Il problema non è solo quella banca. E nemmeno solo l’esuberanza miope degli investitori. Questi sono gli effetti del problema. Ed effetti sono anche le decine di migliaia di licenziamenti, 150mila in un anno, da Amazon a Twitter, a Facebook, eccetera. Le radici sono altrove in un quadro economico che marca un’inversione di tendenza nel più avveniristico distretto tecnologico del mondo. Lo ricordiamo: Silicon Valley è una vallata a sud di San Francisco, in California. Fu ribattezzata così per la presenza del silicio con cui si producevano i primi microcircuiti. Qui sono nate e hanno assunto dimensioni planetarie – fra gli altri – Adobe, Apple, Alphabet (Google), Cisco, E-Bay, Facebook, Hewlett Packard, Intel, Linkedin, Meta, Nvidia, Pay Pal, Zoom. Più a nord ci sono Twitter, Microsoft, Amazon. Insomma questo è il cuore della rivoluzione digitale che ha cambiato il mondo intero. Ecco allora le cause della crisi.

LA PANDEMIA

La fine non l’inizio. La bolla si è sgonfiata sia nelle vendite al dettaglio che nei servizi. Gli americani hanno ripreso ad andare nei negozi, negli uffici, a parlarsi a quattr’occhi e non dagli schermi.

INFLAZIONE E TASSI

Il vituperato Trump aveva lasciato a Biden un’inflazione al 2 per cento e dunque bassi tassi d’interesse. Ma Biden in due anni ha pompato sul mercato quasi quattro trilioni di dollari, sordo agli avvertimenti su un’impennata dell’inflazione. Risultato: credito più difficile per le imprese combinato con un calo della domanda. Previsioni: altri aumenti dei tassi anti-inflazione. Esplicito Powell, presidente della Fed.

CRISI ENERGETICA

Anche gli americani ne sono stati colpiti. Incredibile. Gas e petrolio li hanno in casa. Minime le loro importazioni.

GUERRA

L’Europa è rimasta penalizzata dalla guerra in Ucraina. E ora è più scombinata che mai. Biden non ha una exit strategy mentre Putin e Zelensky sono sordi a qualsiasi compromesso.

VERSO IL TEXAS

Infine il fiscalismo e la political correctness del governo democratico. Molte compagnie dalla California si sono trasferite in Texas, governo repubblicano. [email protected]