Patrick Zaki: "La paura più grande? Quando fui scarcerato. Non mi arrenderò mai"

La fine dell’incubo durato tre anni: "Finalmente ho potuto difendermi. Tanti altri però non vengono rilasciati, intendo battermi anche per loro. Mai pensato di mollare, ho una responsabilità verso chi mi ha sostenuto"

Patrick Zaki, 31 anni, lo studente Unibo di origini egiziane arrestato al Cairo nel 2020

Patrick Zaki, 31 anni, lo studente Unibo di origini egiziane arrestato al Cairo nel 2020

Bologna, 11 marzo 2023 - L’arresto, la prigione, la libertà. Manca ancora il finale alla storia di Patrick Zaki, attivista egiziano che ha studiato a Bologna, catturato all’aeroporto del Cairo il 7 febbraio 2020 e portato nel carcere di Mansura con l’accusa di minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione, diffusione di false notizie e propaganda per il terrorismo.

Patrick Zaki, martedì scorso ha avuto per la prima volta in tre anni la possibilità di difendersi. Come ha vissuto quel momento? E che significato ha avuto?

"Ero spaventato. Dopo tanto tempo ho avuto la grande opportunità di parlare per difendermi e, insieme ai miei legali, ho voluto spiegare punto per punto tutto quello che pensavo. È una grande soddisfazione, perché abbiamo lottato molto per arrivare a questo momento. Altri colleghi, in casi simili, non hanno avuto questa opportunità, sono stati giudicati senza poter parlare in loro difesa. Ho capito che non si trattava solo del caso Patrick Zaki, ma dei diritti che ogni persona dovrebbe avere. Spero che questa possa essere l’ultima parte del processo e che si arrivi presto a una fine".

Le idee legate al suo lavoro e al suo attivismo per i diritti Lgbt l’hanno portata a tre anni molto difficili, dove ha affrontato anche il carcere. Ha mai pensato di rinunciare alle sue idee in cambio della libertà?

"No, mai. Da sette anni porto avanti la mia battaglia per i diritti umani e non c’è mai stato un momento, prima, durante e dopo il mio arresto in cui io abbia pensato di rinunciare. Il giorno dopo essere stato scarcerato, sono andato subito in ufficio e ho detto ai miei colleghi: “Riprendiamo quello che abbiamo iniziato“. Non nego che in prigione ci siano stati momenti difficili in cui mi sono chiesto se stessi facendo o meno la cosa giusta, ma il supporto che ho ricevuto dalla mia famiglia, dall’Italia e soprattutto da Bologna, mi ha aiutato a superare tutto".

Guardando all’Italia dal punto di vista dei diritti. Pensa si debba e possa fare di più? Se sì, cosa?

"Tutti i Paesi dovrebbero fare di più per i diritti umani, Italia compresa. Io sono stato fortunato a vivere a Bologna, perché credo sia molto progressista, ma non tutte le città sono così. In Italia ci sono tantissime persone che lottano per la loro identità, la loro religione, il colore della pelle o la sessualità. È un Paese sicuramente avanti, rispetto ad altri, dal punto di vista dei diritti, ma c’è ancora tanto lavoro da fare".

A dicembre 2021 è stato scarcerato. Cosa ha provato quando ha capito che sarebbe stato libero?

"Ero paralizzato. Non avevo immaginato che potesse accadere veramente. Ricordo le prime settimane di libertà, non riuscivo a credere che tutto ciò fosse reale, avevo paura di svegliarmi un giorno ed essere di nuovo in prigione. Quando alla stazione di polizia mi dissero che sarei stato rilasciato, ero terrorizzato, perché in questi casi non si ha mai la certezza di essere davvero libero. Aprirono le porte e mi dissero: “Puoi andare“, ma io rimasi fermo. Iniziai a crederci solo quando il mio avvocato mi disse: “Patrick sei libero“. È stato davvero emozionante uscire e vedere la mia famiglia e la mia fidanzata lì ad aspettarmi. La prigione cambia radicalmente la nostra percezione della vita, ma soprattutto di cosa significhi essere liberi".

L’arresto è stato una sorta di spartiacque. Da quel momento la sua vita è cambiata. Chi è, oggi, Patrick Zaki?

"Sì, dopo l’arresto tutto è cambiato. La mia storia è diventata un caso internazionale, soprattutto grazie alla mobilitazione dei cittadini italiani e bolognesi: questa è stata la chiave per la mia libertà. Oggi continuo a occuparmi di diritti umani, lo sento come una responsabilità nei confronti delle persone che mi hanno supportato e soprattutto verso coloro che sono privati dei loro diritti. Ho ripreso gli studi all’Università di Bologna, che ringrazio per avermi aiutato e supportato nel farlo e, dall’altra parte, sto continuando a scrivere articoli e fare ricerche insieme ad alcune organizzazioni non governative. Voglio lottare e lavorare affinché altre persone, nella mia stessa situazione, vengano rilasciate".

Partendo dalle prime lettere che l’ex Rettore dell’Università di Bologna le scrisse, per arrivare al cartellone in piazza Maggiore. Si aspettava così tanto affetto da parte dei bolognesi? E dal resto dell’Italia?

"Crescendo ho visto come e quanto le rivoluzioni studentesche possano portare al cambiamento. Sapevo che i miei colleghi universitari avrebbero potuto fare qualcosa di importante per la mia liberazione. Non avrei mai immaginato, però, di vedere migliaia di persone invocare a gran voce il mio nome per le strade di Bologna e dell’Italia intera. C’è stato un giorno in cui, alla stazione di polizia di Mansura, ho sentito due agenti parlare delle mobilitazioni in mio favore. È stato il momento in cui ho capito che qualcosa di grande stava per succedere. Non so spiegare la gioia che ho provato, non pensavo di meritare così tanto affetto e supporto".

Ha paura di non poter avere mai più la possibilità di tornare in Italia?

"No, anzi, mi rattrista pensarlo. So che per il mio ritorno in Italia ci vorrà ancora tempo, non so quanto, ma penso che non succederà a breve. Nonostante questo, io continuerò sempre a immaginare il momento in cui sarò all’aeroporto di Bologna e rincontrerò i miei colleghi dell’Università, la mia prof Rita Monticelli e tutte le persone che si sono battute per la mia scarcerazione. So che nel mio futuro c’è la libertà, so che un giorno potrò rientrare a Bologna e riprendere la mia vita come una persona normale. Ho il diritto di tornare a viaggiare e continuare i miei studi. Non so quando succederà, ma io tornerò in Italia".