Papa Ratzinger 'santo subito'? Forse, con l’avallo di Francesco

Diciotto anni fa il grido dei fedeli salì chiaro ai funerali di Giovanni Paolo II, poi canonizzato nel 2014. Bergoglio potrebbe essere tentato di ascoltare chi certamente chiederà una deroga all’attesa canonica

Roma, 4 gennaio 2023 - Durante il funerale di Giovanni Paolo II un movimento organizzò una serie di striscioni che dicevano “Santo subito”: speranza adempita nella sostanza, ma disillusa nei tempi. Perché ci sono voluti due pontificati per procedere alla beatificazione (2011) e poi alla canonizzazione (2014) del primo papa polacco.

Fedeli in coda per omaggiare la salma di Benedetto XVI in San Pietro (Ansa)
Fedeli in coda per omaggiare la salma di Benedetto XVI in San Pietro (Ansa)

Oggi, nei giorni del lutto per la morte di Benedetto XVI, prende forma un auspicio simile, anche se un po’ più sgrammaticato. Chi dice infatti che bisognerebbe proclamare “dottore della chiesa” Joseph Ratzinger, primo teologo sistematico ad essere eletto al trono di Pietro, dimentica infatti che tale titolo si attribuisce dopo la canonizzazione e non prima. E non considera che il Novecento ha cambiato il modo di percepire la santità del papa: e quella canonizzazione che per secoli è stata la cristallizzazione di un significato storico imperituro tende a diventare una ritorsione sulle critiche e i contrasti che uno storico non attribuirebbe d’istinto al demonio, ma alle polemiche che circondano ogni funzione apicale. Bisogna infatti ricordare che la chiesa di Roma è stata sempre prudente nel canonizzare i papi: ha considerato santi tutti i successori di Pietro fino al IV secolo, quasi tutti fino al IX e i due papi della riforma gregoriana (Leone IX e Gregorio VII) sono stati canonizzati uno 27 anni e l’altro oltre cinque secoli dopo. Poi fu la volta di Pietro da Morone, il settimo papa a rinunciare alla tiara canonizzato nel 1313, 17 anni dopo la morte. E infine di Pio V – il papa del ghetto, della esecuzione di Carnesecchi e Paleario, dell’Indice dei libri proibiti, della vittoria di Lepanto – che fu canonizzato a un secolo e mezzo dalla scomparsa. La preoccupazione principale, infatti, era che il papa fosse obbedito in vita, non venerato da morto.

Chi cambia le cose è Pio XII che nel 1954 canonizza Pio X (che aveva conosciuto) e beatifica Innocenzo XI, per mettere in scia all’uno la sua campagna di repressione teologica e il suo anticomunismo. Paolo VI non permise al concilio di canonizzare in aula Giovanni XXIII, come volevano alcuni padri polacchi e bolognesi: ma aprì due processi ordinari per Pio XII (rimasto venerabile) e per Roncalli, beatificato da Wojtyła nel 2000 e canonizzato insieme a lui nel 2014. E sotto Benedetto XVI e Francesco tutti i papi dal 1958 al 2005 sono saliti agli onori degli altari: con l’idea in fondo pacelliana di “usare” la santità per rafforzare o proteggere chi governa, più che per indicare un modello da seguire.

Dunque è facile che la richiesta di Ratzinger “santo subito” passi dai media alla piazza di san Pietro e alla diocesi di Roma, quella che ha il diritto di postulare la causa di un suo vescovo. Ed è facile capire che Francesco non tirerà il freno, mettendosi in cattiva luce con chi lo ha contestato, o sbandierato un “Benedetto è il mio papa”, che proprio Ratzinger non avrebbe tollerato. Ma non farà nemmeno scelte affrettate, senza cadere nella trappola di chi dirà che se non deroga, ostacola.

Un po’ come per la rinuncia, infatti, Francesco si trova nella posizione di chi deve decidere se creare un precedente: se si dimetterà, diventerà difficile per il successore non fare come due predecessori; e se canonizzerà il predecessore, diventerà impossibile per il successore non canonizzare lui. Il papa gesuita userà dunque la virtù ignaziana della “indifferenza” e lascerà che chi chiede chieda, chi deve istruire istruisca: poi sa Dio se tirare le somme di un atto come la canonizzazione, nel quale è impegnata l’infallibilità del popolo di Dio, sarà lui o un altro papa.