Papa Ratzinger: l'anello, la veste, le scarpe nere. Quel corpo esposto parla ai fedeli

Gli indumenti indossati rappresentano l’eternità del pontificato romano che sopravvive alle miserie umane

Roma, 3 gennaio 2023 - Le spoglie mortali di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, resteranno esposte ancora fino a domani in Vaticano, secondo la tradizione. Come sempre accade – ma in questo caso più che non in altri – l’uscita del pontefice da questo mondo è stata accompagnata da rispetto e rimpianto, ma anche da perplessità e polemiche. Nessun dubbio che, a proposito di alcune fra queste ultime, un bel po’ di malevolenza e soprattutto d’ignoranza si sia mischiata al riserbo e al dolore. Se e quando lo cose non si conoscono, meglio sarebbe non parlarne o ammettere incomprensione e disinformazione. Ma evidentemente l’umiltà non è di moda.

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Disteso sul letto funebre, vestito della pianeta scarlatta che rinvia alla gloria e al martirio in omaggio alle sofferenze sofferte e al trionfo del transito alla Vita Eterna, il pontefice calza sulla fronte la semplice mitria episcopale. Del resto, il triregno entrato nel cerimoniale liturgico con Bonifacio VIII fu abolito da Paolo VI; quanto alle scarpe nere, dinanzi alle quali qualcuno si è meravigliato ricordando forse le babbucce liturgiche scarlatte di altri papi, qui siamo davvero di fronte a una scabra, commovente immagine di umiltà.

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Ma a Benedetto XVI le scarpe scarlatte comunque non spettavano, come dopo la riforma delle vesti pontificie voluta da papa Francesco esse non spettano più a nessuno. Il rosso e l’oro dell’abito papale al quale tutti eravamo abituati era l’ultimo ricordo delle insegne imperiali che i pontefici romani si erano arrogati, a quel che pare, almeno dall’VIII secolo in poi: vale a dire da quando uscì dalla cancelleria del vescovo di Roma, quello strano documento, il Constitutum Constantini, secondo il quale l’imperatore, abbandonando l’antica Roma per quella nuova che si era fatto costruire in riva al Bosforo, avrebbe donato al vescovo dell’Urbe le insegne imperiali facendolo di fatto padrone e custode dell’impero. L’idea del papa superiore a tutti gli imperi della terra, ripresa nell’XI secolo da papa Gregorio VII in polemica contro l’imperatore Enrico IV e quindi da Innocenzo III – che proclamò il vescovo di Roma non solo "successore di Pietro", bensì anche "vicario del Cristo", con ciò postulando una regalità eterna del Salvatore che si esprimeva nella successione continua die suoi rappresentanti – ha dato vita a una visione della "regalità del Sommo Pontefice" che ha continuato a esprimersi fino al "Papa-Re" del XIX secolo ma anche oltre: le stesse istituzioni dello Stato Città del Vaticano sono espressione di una sovranità che non ha nulla di costituzionale: cioè che è "assoluta" nel senso etimologico del termine, ad-soluta rispetto a qualunque condizionamento.

Giovedì ci saranno le esequie. Non saranno esequie papali solenni, quelle spettanti al pontefice che tradizionalmente durano nove giorni, in quanto Benedetto XVI al titolo pontificio aveva rinunziato. Ma saranno presenti comunque due papi, quello effettivo vivente e quello emerito defunto. Sarà un ulteriore tassello di questo mosaico dell’eccezione e del paradosso. Non avrebbe avuto senso, per un papa "dimissionario", continuar a portare la veste candida di vicario del Cristo; come non ha senso (e difatti non accade) che un vescovo emerito continui a portare le insegne episcopali una volta raggiunti i termini di scadenza del suo mandato. Ma tutte le vicende relative alla funzione pontificia, da circa un decennio, si sono svolte all’insegna del paradosso.

Benedetto XVI fu un grande papa, che ebbe il coraggio di mettere a nudo e di affrontare le miserie e gli scandali della Chiesa. Gli mancò forse l’energia sufficiente ad abbandonare le istituzioni che tanto amava e alle quali aveva donato per intero la vita e le energie di uomo e di studioso. Anche quando non si sentì all’altezza dell’ufficio al quale era stato chiamato, non volle venir meno al mantenimento di un’istituzione che gli era stata affidata.

Un grande studioso, Ernst Kantorowicz, nel ‘Doppio corpo del re’, ha studiato il rapporto fra l’essere mortale che per qualche tempo presta vita fisica a un’istituzione eterna e l’eternità di quella funzione che sopravvive a chi l’ha rivestita. "Il re è morto; viva il re!". Un altro grande studioso, Agostino Paravicini Bagliani, ha studiato in libri straordinari il "doppio corpo" del papa, l’immortale e il mortale. L’eternità del pontificato romano, che sopravvive alle miserie umane come l’arcobaleno sulla cascata.