Mercoledì 24 Aprile 2024

"Papa isolato, le sue riforme restano al palo"

Consorti, presidente dei canonisti: "La spiritualità di Bergoglio non fa presa in Curia. Becciu? Ha diritto a un giusto processo"

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di Giovanni Panettiere

L’alta carica spirituale del pontificato "non riesce a tradursi in un’efficace azione di governo, dando così largamente l’impressione di un papato impantanato nella gestione di sfide a cui era stato chiamato dal Conclave nel 2013". Sullo sfondo del clamoroso affaire Becciu il professor Pierluigi Consorti, al vertice dell’associazione dei canonisti degli atenei italiani, processa il settennato bergogliano, prendendo le mosse dallo stato dei lavori sui dossier caldi dello Ior e della Curia romana. "Dei cantieri di riforma avviati continua a non vedersi la fine – spiega il titolare della cattedra di Diritto canonico all’Università di Pisa–, a partire dall’attesa, nuova costituzione sulla riorganizzazione dei dicasteri della Santa Sede. Al contempo la trasparenza e la moralità nelle operazioni finanziari dentro le mura leonine faticano a farsi prassi".

Un postulato bergogliano vuole che "il tempo sia superiore allo spazio", come a dire che conta di più il processo di discernimento della riforma stessa.

"Vero, però, dopo sette anni di pontificato era lecito attendersi qualche provvedimento concreto in più. Il Papa sembra aver la bicicletta giusta per pedalare fino alla meta, ma il terreno è ancora troppo fangoso. Paga una diffusa mentalità clericale da principi della Chiesa, non da servitori del Vangelo".

I suoi moniti contro la corruzione non fanno presa sulle alte sfere ecclesiastiche?

"Almeno non su tutte. Nel caso Becciu ciò che più sconcerta non è tanto la sua ammissione di parte degli addebiti a lui contestati quanto piuttosto il fatto che non si sia posto problemi a indirizzare 100mila euro dal conto della Segreteria di Stato alla sua diocesi di origine e di conseguenza alla coop del fratello. Quel che in ambito laicale suona come un conflitto d’interessi per troppi uomini di Chiesa è un modo di agire normale".

È giunto il momento di affidare i portafogli vaticani a laici competenti?

"Credo di sì. Forse si eviteranno acquisti temerari come quello del palazzo di Londra che cozzano col diritto canonico per cui i beni immobili non vanno messi a reddito".

Giusta la cacciata di Becciu, tra i presuli più ascoltati da Bergoglio che lo elevò a cardinale?

"Premetto che non conosco le carte dell’inchiesta vaticana. Certo è che, se Francesco ha agito in un modo così perentorio, vi saranno elementi tali da sostenere, se non la colpevolezza del porporato, almeno una sua disinvoltura nel gestire il conto della Segreteria di Stato".

Becciu, che non ha ricevuto alcun avviso di garanzia nonostante l’accusa di peculato, chiede un giusto processo.

"Ne ha diritto, l’ordinamento vaticano riconosce a tutti questo principio. Anche l’ex prefetto ha diritto di sapere esattamente che cosa gli venga contestato e di potersi difendere".

Spesso i processi nella Chiesa sono avvolti da un’aurea di mistero, come quelli a carico dei teologi liberal puniti da Wojtyla.

"La tendenza a lavare i panni sporchi in famiglia lontano dai riflettori è dura a morire. Qui, però, non si parla di procedimenti dell’ex Sant’Uffizio sull’osservanza della dottrina. Nella procedura penale non sono ammesse scorciatoie".

Siamo entrati nel cono d’ombra finale di questo papato che non teme scandali?

"Non credo, la prossima enciclica sulla fratellanza rinvigorirà l’alta spiritualità del messaggio bergogliano. Sul fronte di governo, però, Francesco è sempre più solo. Come nel caso di fratel Enzo Bianchi anche nella vicenda Becciu la sua impetuosità rischia di depotenziarlo".