Martedì 13 Maggio 2025
Pierfrancesco De Robertis
Cronaca

Addio a Papa Francesco: voleva una Chiesa come un ospedale da campo

Esordì con quel “sono venuto dalla fine del mondo”. Il rapporto con Ratzinger e la stagione degli scandali

Addio a Papa Francesco: voleva una Chiesa come un ospedale da campo

Roma, 21 aprile 2025 – Il 13 marzo del 2013 segnò l’incrocio tra lo stupore, il sogno e la speranza, e il Buonasera di Jorge Mario Bergoglio dette l’idea della portata storica che tutte le “prime volte” di un papa venuto dalla fine del mondo avrebbero consegnato alla società e alla Chiesa cattolica. Una società che guardava incuriosita a quello che i cardinali si sarebbero inventati per far dimenticare la vergogna di Vatileaks, una Chiesa chiamata al riscatto della Pasqua dopo il Venerdì santo del tremendo j’accuse a cui le dimissioni di Benedetto XVI l’avevano costretta.

L'elezione di Papa Francesco (foto Ansa)
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Tante promesse si affacciarono dalla Loggia delle benedizioni alle sette di un’umida serata romana, e si capì subito che non sarebbero andate deluse, sarebbero state così travolgenti che nessuno dei tanti fedeli, curiosi, turisti, giornalisti in piazza pensò ad aprire l’ombrello. Il suono delle campane della basilica mai sembrato così gioioso, il cielo era autorizzato a mandar giù tutto quello che avrebbe voluto.

Era la prima volta di un sudamericano a San Pietro, la prima di un gesuita, la prima di un papa che osò chiamarsi come il santo che aveva sfidato un altro papa e proprio per quello aveva ribaltato la Chiesa, la prima di un pastore che si identificò subito come un vescovo tra i tanti spogliandosi di dignità regali, la prima di un cardinale che fino a poco prima di uscire dalla Sistina vestito di bianco prendeva l’autobus e girava le villas miserias di Buenos Aires per portare la comunione agli ammalati, entrava nelle casette di fango della povera gente e poi rientrava in vescovado senza cambiarsi le scarpe. Era fango benedetto.

Dopo dodici anni di servizio alla Chiesa di Roma, quelle promesse Jorge Bergoglio le ha mantenute tutte, e forse solo con il tempo si comprenderà la portata rivoluzionaria di un pontificato che ha inciso nella carne viva della Chiesa come pochi avevano fatto prima di lui. Forse nessuno. Si, certo, Roncalli aveva indetto il Concilio e Montini l’aveva proseguito, implementandolo, ma lì c’era una Chiesa tutta che chiedeva di essere riformata, Wojtyla fece cadere il Muro ma nonostante i suoi 27 anni non mutò le strutture portanti della Barca di Pietro o il suo rapporto con il mondo, Ratzinger poi, disse per la prima volta che il papa si poteva dimettere ma poi passò alla Storia come il grande conservatore, il Pastore tedesco...

Francesco no, Francesco da subito fece comprendere che un papa venuto dal sud del mondo avrebbe costretto anche la Chiesa a cambiare la prospettiva, e lo fece molto spesso da solo, assumendosene la responsabilità storica, a volte contro la Chiesa stessa, incurante del fatto che solo due o tre anni dopo la sua elezione buona parte del collegio che l’aveva eletto non l’avrebbe forse rivotato, gli americani in primis, e che molti gruppi cattolici, non solo tradizionalisti, pregavano per avere un papa che parlasse meno di ecologia o di migranti e più di Dio.

Bergoglio chiese ai preti di puzzare come le pecore che pascevano, e questo fece in prima persona. Non solo nei simboli – la croce di ferro al petto, le scarpe ortopediche nere al posto dell’elegante mocassino rosso in pelle di marocchino, la Ford Focus, l’abbandono del palazzo apostolico, la lavanda dei piedi ai carcerati – ma anche nella sostanza, con una Chiesa che con lui ha preso a frequentare più le periferie del mondo che le grandi capitali del potere.

Il collegio cardinalizio che sarà chiamato adesso a eleggerne il successore sarà composto da prelati provenienti mai come adesso dai quattro punti cardinali, da diocesi spesso sconosciute o sperdute in lande desolate, al posto di quelle normalmente più titolate (le tradizionali sedi cardinalizie italiane sono quelle che ne hanno fato maggiormente le spese, vedi Milano, Firenze e Venezia). Bergoglio ha dato vita a una Chiesa “ospedale da campo” dell’umanità, come diceva lui, in cerca dei bisognosi, bisognosi di cure materiali o morali, mai discostandosi dalla dimensione sociale di cui è fatto il cattolicesimo in Sudamerica, la terra in cui era nata quella Teologia della liberazione che Wojtyla e Ratzinger avevano asfaltato e invece lui ha riabilitato, arrivando a istruire il processo canonico per monsignor Helder Camara, il vescovo noto per domandarsi “perché se dò da mangiare a un povero sono un santo, se chiedo perché i poveri non hanno da mangiare sono un comunista?”.

Una dimensione sociale che Francesco ha messo avanti a tutto, secondo i suoi detrattori – anche interni – troppo, attirandosi l’accusa di far assomigliare la Chiesa a una ong.

Certo, non tutte le missioni che Bergoglio si ripromise dentro di sé di portare a termine quella sera di marzo sono concluse, e basti pensare alla fantomatica riforma della Curia, con il famoso G9 dei cardinali di cui a un certo punto non si è saputo più niente, o la codifica delle nuove norme in materia di morale sessuale, anche queste lì nel limbo. Ma come diceva lui, ripercorrendo un pensiero dei gesuiti - e quanto era gesuita questo papa ne se sono accorti tutti - i tempi contano più degli spazi, e quando si inizia un processo prima o poi qualcuno lo porterà a termine.

In ogni caso come tutti i grandi, ci sarà un prima e un dopo di lui. Quanto lo spartiacque Francesco sarà destinato a incidere nella Storia e nella Storia della Chiesa, sarà solo il tempo a rivelarlo.