Papa Francesco da Fazio: non sono un santo. "Da piccolo volevo fare il macellaio"

Francesco parla di se stesso e dei suoi (pochi) amici. Ironico ma anche profondo. I temi: migranti, ambiente, pace

La voce di papa Francesco si fa largo con garbo nelle case degli italiani all’ora di cena. Cinque minuti trascorsi le 20.30 attraverso il salotto buono di Fabio Fazio. Dopo che giornalisti e intellettuali alla Saviano hanno discettato delle tensioni in Ucraina, prima di una manciata di spot pubblicitari a uso e consumo delle famiglie. Il format del talk show non fa sconti e Bergoglio ci si cala in pieno. Mettendosi a nudo davanti alle telecamere, accorciando le distanze con l’uomo della strada, raccontando dei suoi sogni da bambino, della sua solitudine e delle sue fragilità. Senza infingimenti, in modo che anche zia Assunta possa capirlo dal tinello del suo appartamento di periferia.  

Lo studio di ’Che tempo che fa’, per questa prima volta di un Pontefice ospite di un talk, si trasforma in una piccola piazza San Pietro su cui si affaccia, quasi fosse la finestra del suo studio nel Palazzo apostolico, Francesco in collegamento diretto dalla sua residenza, Casa Santa Marta. L’effetto Angelus in prima serata è voluto e riuscito per un appuntamento unico nella storia della televisione e di una Chiesa che buca il piccolo schermo per farsi incontro al mondo. Ne sente il bisogno, quasi l’urgenza, ancor più oggi dopo i recenti scandali sulla pedofilia che hanno investito lo stesso Papa emerito, Benedetto XVI. Eppure di abusi sui minori non si parla da Fazio. Silenzio.  

Piuttosto la diretta si fa propizia per riaccendere i riflettori sui conflitti dimenticati, a partire da quello in Yemen ("La guerra è un controsenso della creazione", ammonisce Bergoglio, lo sguardo torvo di chi è consapevole del rischio di parlare al vento). O per trattare del dramma dei migranti. Questioni soffocate da due anni di pandemia, ma che restano emergenze, se possibile, ancora più ignorate. Sulla pelle di donne e bambini. Ed è subito famiglia, pedagogia, alta e fruibile al contempo. "Ai genitori dico giocate con i vostri figli, siate complici – è il consiglio che prende in contropiede i teorici, anche cristiani, dell’autorità senza se e senza ma dei papà e delle mamme –, quella complicità che permette di crescere insieme padri e figli".  

Fazio fatica a nascondere la tensione. Per rompere il ghiaccio al Papa domanda come faccia, lui che ha toccato con mano la sofferenza negli angoli del mondo in cui ha viaggiato in questi quasi nove anni di pontificato. Un sorriso e Bergoglio, croce argentata sul petto, si concede una battuta di taglio sportivo: "Non sono un campione di pesi, sopporto come tanta gente". C’è molto spazio nell’intervista per la confessione. Quella di un uomo fatto Papa che richiama il prossimo alla tutela del creato, ascolta la classica, balla il tango ("Un porteño che non balla il tango, non è porteño ", scherza) e che da bambino "volevo essere un macellaio, perché lui aveva una busta dove metteva tanti soldi, da questo si capisce la radice genovese della mia famiglia".  

Casa Santa Marta spalanca le porte al tema sofferto della solitudine di un Papa considerato grande più all’esterno che all’interno della Chiesa. Osteggiato dai tradizionalisti, ma anche sempre più deludente agli occhi dei progressisti che avevano scommesso su di lui per il diaconato femminile e il matrimonio dei preti. "I papi di prima erano santi, io non me la cavo, non sono tanto santo, per questo ho bisogno dei rapporti umani – Francesco si rimette davanti allo specchio –, per questo non sono andato a vivere negli appartamenti vaticani. L’amicizia mi fa forza, ne ho bisogno, non ho tanti amici, sono pochi, ma veri". Un’ora d’intervista e il microfono passa al virologo Burioni. Grazie Francesco, può andare. Tocca alla pandemia, avanti un altro, uno vale uno prima che l’attenzione si abbassi e il telespettatore cambi canale. È un talk show, non l’Angelus.