Giovedì 25 Aprile 2024

Il lustro di Francesco, papa diverso

Cinque anni dall'elezione di Jorge Mario Bergoglio, tra fan e contestatori: cronaca di un pontificato alla svolta

Papa Francesco (Afp)

Papa Francesco (Afp)

Città del Vaticano, 12 marzo 2018 - Sono cinque anni da quel "buonasera" che tutti sbalordì, e pare davvero che nella Chiesa sia cambiato il mondo. Senza sorprese in fondo, visto che da subito si era intravisto quanto nella Chiesa sarebbe stato diverso. Si intravide dal papa che i cardinali avevano scelto - un sudamericano, mai accaduto prima -, dall’ordine di provenienza del cardinale di Buenos Aires - un gesuita, fatto prima di allora temuto ed evitato -, dal nome adottato dal nuovo papa - Francesco, anche questo un inedito - dallo stile e dalle parole che da subito il pontefice neoeletto aveva palesato.

Da quel 13 marzo di cinque anni fa è stato un susseguirsi di "prime volte", il cui elenco potrebbe risultare anche noioso. I primi due papi insieme, ma di questo Bergoglio non portò responsabilità, le scarpe nere ortopediche, la Ford Focus, le dichiarazioni choc tipo "chi sono io per giudicare un gay", le aperture a Cuba e alla Cina. Eppure sono in tanti adesso anche all’interno della Chiesa a chiedersi se l’elezione di Jorge Mario Bergoglio sia stata un bene o l’inizio del ripiegamento della purezza cattolica di fronte alle insidie della modernità. Il web è pieno di blog o di siti di simpatizzanti o antipatizzanti dell’ex porporato argentino, e mai come in questo caso il tifo ultras pare aver preso il posto dell’analisi, o dello sguardo di fede necessario ai cristiani per analizzare la portata di un pontificato. Molte critiche, specie adesso che il regno di Bergoglio pare entrato in una fase che alcuni giudicano di stanca.

"Il pontificato si è incartato", si dice. Non del tutto a torto verrebbe da dire, giudicando l’impasse in cui si trova la riforma della Curia romana che cinque anni fa pareva partita in tromba e che invece ancora latita, le recenti titubanze sul tema preti-pedofilia specie dopo l’ultimo viaggio in Sudamerica in cui le contestazioni al vescovo Barros non sono state prese più di tanto in considerazione dal Papa, i belbettii in materia di governance economica, in cui si è inanellata una gaffe dietro l’altra a partire dall’allontanamento di quel cardinale, l’australiano Pell, che invece doveva servire da grimaldello per scardinare il fortino della conservazione fino alle continue dimissioni, volontarie o meno, dei vertici dello Ior o degli uffici finanziari del Vaticano. D’altro canto la popolarità del Papa continua a restare su livelli stratosferici, anche in Italia dove un sondaggio pubblicato il mese scorso da un grande quotidiano nazionale sistemava Bergolio in totale solitudine al primo posto, seguito ma più a distanza dai soliti Capo dello stato e carabinieri. Anche dalla stessa Chiesa cattolica. 

Quello che è certo è che Francesco ha imposto con decisione una sua agenda, dando quasi l’impressione di uno che vuol fare le cose in fretta perché sa (o pensa) di non aver troppo tempo a disposizione. Le polemiche seguite alla sua accelerazione sui temi della morale familiare, quelli che hanno portato alle aperture della Amoris Laetitia, sono nate almeno in parte da una discussione e una maturazione quasi troncata dal timing imposto dal papa argentino. D’altro canto Bergoglio ha sempre spiegato che "il tempo vale più dello spazio", e che l’importante è aprire processi, che chissà quando e chissà da chi verranno un giorno portati a compimento. Come è accaduto per esempio in campo "diplomatico", con le aperture alla Cina, che sono una realtà ma che devono essere ancora concretizzate. In questo Francesco ha mostrato tutta la sua impronta gesuiticamente missionaria: si parte, si conosce la destinazione ma non si quando e come ci si arriverà. Come prima di lui fece, proprio verso la Cina, il padre gesuita Matteo Ricci, marchigiano del Seicento a cui nemmeno tanto velatamente Francesco si richiama.