di Giulia Prosperetti "La regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre è discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio. Pertanto, la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due". Pronunciandosi sulla norma che non consente ai genitori, di comune accordo di attribuire al figlio il solo cognome della madre e su quella che, in mancanza di accordo, impone il solo cognome del padre, anziché quello di entrambi i genitori, la Corte costituzionale ha dichiarato ieri l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi. Una decisione attesa dopo che – alla luce delle questioni poste dal Tribunale di Bolzano e dalla Corte d’appello di Potenza – con l’ordinanza n. 18 dell’11 febbraio 2021 la Corte aveva sollevato innanzi a sé la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 262, primo comma, del codice civile, rilevando a tal proposito il contrasto con gli articoli 2, 3 e 117 (primo comma) della Costituzione, quest’ultimo in riferimento agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Una violazione, quella dell’articolo 14 della Cedu, per la quale l’Italia era già stata condannata dalla Corte di Strasburgo la quale nel 2014 ha stabilito il diritto dei genitori di dare ai propri figli anche il solo cognome della madre. L’incompatibilità della prevalenza del patronimico con il valore fondamentale dell’uguaglianza era stata riconosciuta da oltre trent’anni, a partire dal 1988, dalla stessa Corte, che ha più volte invitato il legislatore a intervenire definendo, nella sentenza n. 61 del 16 febbraio 2006, il sistema di attribuzione del cognome vigente in Italia come il "retaggio di una concezione patriarcale ...
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